Medicina di genere: ne sentiremo parlare sempre di più?

di Alberto Costa e Giorgia Garganese*

Secondo la definizione dell’Istituto Superiore di Sanità, la medicina di genere si occupa delle differenze biologiche tra i due sessi. Esse si osservano nella frequenza e nella sintomatologia di numerose malattie, nella risposta alle terapie e nelle reazioni avverse ai farmaci; nelle esigenze nutrizionali e dietetiche, nelle risposte alle sostanze chimiche, negli stili di vita, nell'esposizione ai rischi e nell'accesso alle cure.

Di fatto, la medicina di genere finisce per concentrarsi, con molto maggior frequenza, sulle patologie femminili, poiché esse sono considerevolmente superiori, per quantità e caratteristiche, a quelle esclusivamente maschili. Prime fra tutte quelle relative all’apparato genitale e riproduttivo e quindi gli ambiti di azione di ginecologia e senologia che sono per definizione pertinenti al genere femminile.

Ma in modo altrettanto importante occorre potenziare l’impegno verso quella che potremmo chiamare “versione femminile” di malattie e disturbi comuni ad entrambi i generi. Servono, cioè, una “cardiologia femminile”, una “urologia femminile”, una “neurologia femminile” ecc.

Tutti notiamo come anoressia e bulimia siano più frequenti nelle ragazze che nei ragazzi, come le donne siano più colpite da cefalee, emicranie, depressione e disturbi del sonno o da disfunzioni dell’immunità, quali sclerosi multipla e artrite reumatoide. Le malattie dell’invecchiamento e quelle oncologiche si manifestano nelle donne con uno spettro molto specifico e l’appartenenza stessa al genere femminile espone maggiormente a condizioni di svantaggio sociale, di violenza, dipendenza culturale o economica da cui originano molte affezioni del benessere fisico e psichico.

Se pure di nicchia, è in corso un dibattito all’interno del mondo medico sulla necessità o meno di concentrare queste patologie (e le relative competenze specialistiche) in un’unica sede fisica, tenendo conto anche del modello (o per lo meno dell’esperienza) americana dei cosiddetti “women’s hospitals”, ospedali delle donne.

È solo del 1991 la prima pubblicazione di Bernardine Healy sul concetto di medicina di genere, che portò, quasi 20 anni dopo, nel 2009, alla costituzione del primo dipartimento dedicato all’argomento all’interno dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Nel 2014 gli USA adottano per la prima volta modifiche alla legislazione sulla sperimentazione farmacologica volte a comprendere anche le differenze di genere. L’Italia è tra i primi Paesi al mondo ad occuparsene e istituisce nel 2017 il primo centro nazionale di riferimento all’interno dell’Istituto Superiore di Sanità.

Esistono già in Italia alcuni importanti centri di studio della medicina di genere, prima fra tutti la cattedra di medicina di genere dell’Università di Padova. Ciò che manca è un luogo fisico, specifico, dedicato, in cui concentrare gli sforzi a livello nazionale: un centro in cui i percorsi di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione vengano sviluppati con un apparato di ricerca dedicata e innovativa, da porre anche al servizio della formazione di professionisti nella medicina di genere; un centro da cui generare una rete informativa in grado di divulgare efficacemente delle strategie adeguate per la tutela della salute nella popolazione femminile.

In sostanza, un luogo di piena attuazione del “Piano per l’applicazione e la diffusione della Medicina di Genere predisposto da Ministero della Salute e Istituto Superiore di Sanità nel decreto attuativo del 13/6/2019 della Legge 3/2018. idealmente un IRCCS dedicato, come il Rizzoli di Bologna per l’ortopedia, il Gaslini di Genova per la pediatria, il Besta di Milano per le malattie del sistema nervoso, ecc).

La crescente consapevolezza, ahimè pagata a caro prezzo dalle donne, sull’urgenza di una molto maggior attenzione alle loro peculiarità e bisogni ignorati, potrebbe far emergere in futuro anche un movimento a favore dello sviluppo di centri di cura e di diagnosi dedicati esclusivamente alla salute femminile.

*professore associato di ginecologia e ostetricia presso l’Università Cattolica di Roma

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