Anche la cucina italiana ha la sua grammatica!
Un libro ci spiega le sue regole, le tradizioni e ci insegna a "sapere i sapori"
di Giorgio Marini
Pasta, pizza, ma anche insalata russa, tortellini, anolini, genovese, bollito misto e cacciucco. Sono solo alcuni dei piatti più rappresentativi della cucina italiana.
Scegliere tra le varie specialità regionali è un compito arduo. Lo ha fatto Slow Food, che lavora in 150 Paesi per promuovere un’alimentazione buona, pulita e giusta per tutti. L’associazione internazionale no profit intende ridare il giusto valore al cibo, nel rispetto di chi produce, in armonia con ambiente ed ecosistemi, grazie ai saperi di cui sono custodi territori e tradizioni locali della Penisola mediterranea.

Di recente Slow Food ha pubblicato ‘Grammatica illustrata della cucina italiana’, nuova edizione di un compendio unico nel suo genere con 250 ricette del territorio tricolore. Ogni piatto è presentato da una pregiata illustrazione ad acquerello, firmata da Silvia Gariglio, e dalla storia curiosa e ispiratrice che accompagna il lettore alla scoperta delle origini culturali e dell'evoluzione, fino ai giorni nostri, delle pietanze quotidiane così come di quelle festive.
BASI E REGOLE CAMBIANO NEL TEMPO
«Nel distillare un primo elenco di oltre 500 referenze, ci siamo resi conto che questi piatti rappresentavano una sorta di abc della nostra storia culinaria, la base e le regole di un linguaggio nato a livello locale, parlato nei suoi territori di appartenenza, ma in grado di essere universale, portato altrove per mescolarsi, infondere e subire influenze di cucina, di prodotto, di commercio, di abitudini, di cultura», si spiega nell’introduzione.
Ecco perché questo libro è definito «una grammatica», ovvero «un repertorio solido di basi e regole, che muta lentamente nel tempo, che sviluppa versioni alternative e usi diversi, un po’ come avviene per la lingua, per i dialetti e per le mille sfaccettature socioculturali del Paese».
Quello attuale, da questi punti di vista, è un periodo significativo. Dopo alcuni decenni del secolo scorso, infatti, il mondo delle osterie e dei ristoranti tradizionali, che sembrava a rischio di estinzione, ha invece riconfermato il suo valore universale. Parallelamente è stata riscoperta l’arte dei fornelli nei contesti privati e domestici.
CURIOSITÀ SU DUE GRANDI CLASSICI

Spaghetti aglio, olio e peperoncino rappresentano una bandiera della cucina italiana all’estero. Le materie prime sono semplici, ma devono essere perfette: «Pasta lunga (spaghetti, linguine, vermicelli), più o meno spessa purché servita al dente, olio extravergine di buona qualità e, soprattutto, occhio a non bruciare l’aglio».
L’origine del piatto è quasi certamente campana, sicuramente del Sud Italia. Una prima ricetta si trova nel trattato ‘Cucina teorico-pratica’ del 1837 stilato dal nobile, cuoco e letterato campano Ippolito Cavalcanti.
Una versione pressoché uguale era già nota nella seconda metà del Settecento: i “vermicelli alla Borbonica”, forse non a caso diffusi nello stesso periodo in cui Gennaro Spadaccini, ciambellano di Ferdinando IV di Borbone, inventò la forchetta a quattro rebbi.

Un’altra icona gastronomica tricolore è la pizza. «Quella napoletana trova il suo marchio distintivo non tanto nelle guarnizioni quanto nell’impasto: il risultato finale è un disco morbidissimo e gommoso, per niente stopposo, con la parte sottostante il condimento molto sottile e un cornicione gonfio e pieno d’aria, a mo’ di gommone». La “cugina” romana, invece, con un impasto meno idratato, è molto più sottile, il che la rende anche più croccante; non a caso è chiamata “scrocchiarella”, termine onomatopeico.