Il colore dominante è comunque il giallo
Tutti nella mia famiglia hanno ucciso qualcuno. Un romanzo avvincente, ma soprattutto originale e divertente nell’universo sterminato della letteratura poliziesca attuale. La Recensione di Moreno Macchi

«[Forse] la vita in prigione,
al riparo dagli elementi
offriva benefici insospettati
in termini di cura della pelle,
ma avrei giurato che era ringiovanito»
«Se non avete ancora capito
che uso l’umorismo
come meccanismo di difesa,
francamente non so più cosa dirvi»
«Difficile versare lacrime
quando ti si ghiacciano sulla faccia»
Benjamin Stevenson
Tutti nella mia famiglia hanno ucciso qualcuno (romanzo)
Feltrinelli
Una cosa è certa (e chiara fin dall’inizio): questo sarà un vero giallo. Tutte le regole fissate nel libro Decalogo del giallo perfetto edito nel 1929 e scritto da Ronald A. Knox (di cui vi abbiamo parlato nella precedente recensione), ed elencate a pagina 7 (pagina di cui ci è caldamente consigliato di piegare l’angolo superiore a mo’ di segnalibro per poi tornarci se necessario) saranno quindi rispettate alla lettera. Per risolvere l’enigma non ci saranno né bislacchi tranelli, né ingegnosi stratagemmi, né subdoli inganni, né infidi sotterfugi o improbabili deus ex machina. Niente trucchi o piroette. Tutto vero. Tutto giusto. Tutto trasparente. Tutto onesto. Pare.
Un’altra cosa è pure sicura. Che tutti in famiglia abbiano veramente ucciso qualcuno, in fondo, non sorprende più di tanto quando si cominciano a conoscere un po’ i Cunningham dalla sulfurea reputazione. Differiscono i metodi, le situazioni, i moventi, le armi, il caso (nel senso di fato, fortuna, sorte, combinazione, coincidenza, azzardo) ma il finale è sempre lo stesso: ci scappa il morto!
Ernest (detto Ernie o anche Ern) è il geniale narratore (quello che ci ha garantito di dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità, lo giuro), Michael suo fratello maggiore. Che gli telefona una sera con la voce leggermente (si fa per dire) alterata dall’alcool, e che poi gli si presenta davanti a casa a bordo dell’auto con un faro rotto e la carrozzeria sporca di sangue. Umano. Perché ha investito qualcuno. Non qualcosa. Qualcuno. Che stava scappando da non-si-sa-bene-chi, che gli aveva appena sparato e che si era trovato casualmente nella traiettoria dell’auto in corsa. No, i due fratelli non l’hanno immediatamente portato all’ospedale come Dio comanda. Sono andati subito in una radura sperduta per seppellirlo. Ma l’uomo non era «completamente morto». E allora Michael lo ha aiutato. A morire.
Sophia è la sorella di Ernie e Michael, ma in realtà piuttosto sorellastra, perché Audrey (la madre dei due fratelli che poi si saprà erano in realtà tre), dopo il decesso del marito, si è risposata con Marcelo, brillante avvocato munito di inseparabile Rolex di platino massiccio dal peso sufficiente a trascinare sott’acqua un sommozzatore e tenerlo giù.
C’è poi Katherine, la zia dall’ossessiva precisione di un orologio svizzero (ma di un’altra marca. Scegliete voi!), che ha organizzato una riunione di famiglia in un hotel-chalet montano quasi irraggiungibile, soprattutto quando - come ora - nevica a larghe falde, quando c’è un gelo artico e visibilità ridotta a qualche centimetro e che non tutti hanno le catene nel baule dell’auto, soprattutto quando si tratta di un’utilitaria dall’assai lunga carriera come quella del narratore.
Il perché della riunione è tutto da scoprire. Il marito di Katherine è Andy, gran bevitore di birra, non proprio succube della moglie ma comunque a lei sottomesso quando non riesce a sfuggirle con qualche complice di sbevazzate epocali. Ernie per esempio. Lucy è la moglie (o piuttosto l’ex moglie) di Michael, ha paura dei silenzi e quindi cerca o di rifilare qualche articolo ai famigliari (ha una società di vendita su internet in costante fallimento) o di interrompere l’assenza imbarazzante di conversazioni con qualche osservazione non sempre pertinente.
Questa prerogativa (di interrompere i silenzi) pare sia riservata soprattutto ai membri acquisiti della famiglia. Chissà perché. Comunque, sono sempre loro a farne uso. Erin, la moglie di Ernie (il narratore) non è morta. Ma non è ancora arrivata all’hotel-chalet. La aspettano per l’indomani. Dovrebbe arrivare anche Michael, che è appena uscito di prigione dopo tre anni di pena, essendo stato assai blandamente condannato per il fatto raccontato più su.
Nella neve e proprio prima dello scatenarsi di una bufera (appunto di neve) che trasformerà il paesaggio in una specie di incubo ghiacciato con folate di vento da Polo Nord, viene trovato il cadavere di un uomo che nessuno conosce. Parrebbe morto assiderato, ma Sophie (la sorellastra già menzionata, che è anche medico chirurgo, ma momentaneamente sospesa per sospetta negligenza durante un’operazione, negligenza che potrebbe aver causato la morte dell’operato) sostiene senza indugio che – secondo lei - si tratta di omicidio e che la vittima è morta bruciata. Senza far fondere la neve.
Strano. Davvero strano. Ma le sorprese non finiscono qui. Quale sarà il carico nel grosso camion con il quale Michael raggiunge sulle vette il resto della famiglia in serata? E indovinate un po’ chi lo accompagna? Chi ha sabotato i freni del veicolo sul pendio? E chi ha rotto il lucchetto del capanno dove è stato deposto il cadavere sconosciuto in attesa dell’arrivo di poliziotti magari un po’ più esperti del povero Darius Crawford che proprio un falco non sembra? Né Sherlock Holmes. Né Poirot. E nemmeno Philo Vance… E chi sarà la prossima vittima?
Tutti hanno ucciso (o uccideranno tra qualche pagina) qualcuno e la matassa è più che intricata. Ma tutto sarà spiegato con logica finissima e secondo le summenzionate regole di Ronald Knox dal narratore-protagonista che altro non è che un abilissimo fabbricante di storie con tanto di anticipazioni, flash back, indizi sparsi qua e là, strizzatine d’occhio al lettore e assai abile detective.
Avvincente, ma soprattutto originale e divertente nell’universo sterminato della letteratura poliziesca attuale che invade gli scaffali delle librerie, pensiamo che questo libro potrà piacevolmente intrattenervi (e sicuramente incuriosirvi) per qualche ora.