Pace e guerre: le parole contano

La pace è sempre al singolare, le guerre spesso al plurale. La prima è soprattutto uno stato dell'anima, le seconde sono fatte di azioni e corpi straziati

di Giovanna Guzzetti

Pace e guerre. No, no, nessuna intenzione (anzi, delirio) di fare il controcanto a Leone Tolstoj. E nemmeno di volermi annoverare fra i trendsetter, avviando un dialogo sul tema con ChatGPT.
Niente di tutto questo. Molto più semplicemente, ed umilmente, qualche riflessione indotta dall’incanutimento.

Si sono sprecate, o moltiplicate, le parole, le considerazioni, le discettazioni ad un anno dall’inizio dell’operazione speciale (vae victis, a pronunciare la parola guerra in russo, война) di Putin in Ucraina. Anche le statistiche, che grondano di sangue delle vittime o delle lacrime dei profughi. Per non parlare delle ferite dei torturati (gli orrori di Butcha non sono diversi da quelli di Buchenwald. O delle foibe di Basovizza e dintorni).

Pensiamoci bene. Guerra è un termine che decliniamo molto spesso al plurale. Pensiamo alle guerre persiane, a quelle puniche, di successione, di indipendenza, di religione. Saltellando qua e là nelle pagine di storia.

Ma la pace? No, quella è sempre al singolare. Perché le guerre sono concrete, si combattono anche a mani nude, espongono e ci espongono alle peggiori azioni (da àgere, fare) mentre la pace è uno stato dell’anima. Secondo la fede cristiana la pace è il dono offerto agli uomini dal Signore risorto ed è il frutto della vita nuova inaugurata dalla sua resurrezione. La pace, pertanto, si identifica come "novità" immessa nella storia dalla Pasqua di Cristo. Nasce da un profondo rinnovamento del cuore dell'uomo.

La radice di pace (pax, pacis) è la stessa di *pak-, *pag- che si ritrova in pangere «fissare, pattuire» e pactum «patto», oltre che in paciscor, venire a patti, stipulare un prezzo. Un concetto che ha trasceso i limiti del concreto per rappresentare uno stato di grazie proprio quando si è materializzata nell’Ara Pacis (Augustae), fatta erigere dal Senato romano quando sembrò che Augusto, dopo aver sottomesso la Spagna e le Gallie, pareva aver definitivamente posto sotto la tutela della dea Pace il mondo. Come un ampio mantello che avvolgesse l’orbe terracqueo fino ad allora conosciuto. Un mantello morbido, come si addice ad una sensazione di universale benessere, e trasparente, perché l’umanità avvolta potesse guardare e guardarsi con sentimenti positivi.

Il senso di armonia e quiete diffusa (pace durevole in Omero) lo ritroviamo nella versione greca di pace, quella εἰρήνη così anelata da diventare un (bellissimo) nome di donna, Irene. Dall’etimologia un po’ più incerta anche se sembrerebbe da ricondurre alla radice indoeuropea *ar – connettere.

Uno stato di grazia dove vengono abbandonati istinti polemici o bellicosi / belligeranti. E qui ritroviamo le radici della nostra civiltà, con il pòlemos greco o il bellum romano, sostantivi di quotidiana consuetudine per gli studenti del ginnasio alle prese con le odiose e amate versioni.

Ma la guerra? Da dove viene? L’etimologia della parola è un retaggio germanico: werra, ‘mischia’, groviglio, scontro disordinato in cui si avviluppano i combattenti in un vero e proprio “macello”. Ben diverso dal bellum dei Romani, combattuto secondo piani pre-ordinati e, quindi, strategici.
Werra ha poi iniziato a incardinarsi nel latino parlato al tramonto dell’Impero, quando sui confini premevano quelle popolazioni barbariche che avrebbero poi portato Roma, e i suoi Cesari, al collasso. I barbari hanno vinto e, con loro, la loro modalità di confliggere, sferrare attacchi. Il senso, e i brividi, del “macello”, termine che evoca lo spargimento di sangue vivo, sono la rappresentazione, anche iconica, di quello sta avvenendo in Ucraina.

Lì oggi; sempre però nelle altre guerre, anche più recenti, intorno alle quali spesso si dipana il racconto della storia. Triste dirlo ma sembra fallito, finora, il progetto di Kant Per la pace perpetua. Elaborato dal filosofo quando correva l’anno 1796.

Indietro
Indietro

Le donne raccontano le donne. Ecco che succede quando 11 scrittrici italiane e 2 firme elvetiche si incontrano in un'antologia internazionale

Avanti
Avanti

Identità: il liberalismo le promuove tutte. Il pensiero di Francis Fukuyama, il politologo che negli anni 90 parlò della fine della Storia