La cucina italiana, autentico rito quotidiano, è stata candidata a Patrimonio dell’Umanità Unesco
Le ricette tricolori sono un importante elemento culturale che coniuga tradizione e innovazione. Il responso entro il 2025
La cucina italiana – tanto per quanto riguarda l’atto del cucinare, per preparare i piatti tipici dello Stivale, quanto quello di mangiare le specialità tricolori condividendole con i propri cari – viene ritenuta un rito quotidiano, un momento collettivo di festa, un elemento culturale capace di coniugare tradizione e innovazione.

Diversità regionale, scambio legato al cibo sia tra generazioni che tra località diverse, ritualità e valore delle ricette, competizione, convivialità: sono questi alcuni degli aspetti che contraddistinguono la gastronomia tricolore su cui si fonda un’intera nazione e non solo, come sanno bene i tanti italiani immigrati all’estero e le seconde e terze generazioni con origini legate alla Penisola.
Spesso, in Italia, quando si tratta di indossare i grembiuli e mettersi ai fornelli, parenti e amici sono tutti coinvolti, ognuno con un suo ruolo. Tutti sono inclusi nelle fasi principali delle preparazioni: scegliere la ricetta e gli ingredienti, acquistarli, realizzarli, cuocerli in modi diversi, apparecchiare la tavola, commentare, guardare, giudicare, imparare.
Sulla base di simili considerazioni, il Governo italiano ha appena presentato la candidatura della cucina italiana al Patrimonio dell’Umanità. Lo hanno annunciato il Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste Francesco Lollobrigida e il Ministro della cultura Gennaro Sangiuliano.

Adesso il dossier sarà presentato dal ministero degli Esteri all'Unesco (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura) per far partire l'iter di valutazione che dovrebbe concludersi entro il 2025. A preparare il fascicolo è stato il professore della Luiss Pier Luigi Petrillo che in passato si era occupato delle candidature a patrimonio dell'Unesco della Dieta Mediterranea e dei pizzaioli napoletani.
Nel dossier in questione, la cucina italiana viene definita come un mosaico dei tanti saperi locali, che, senza gerarchie, la declinano e la connotano. È una pratica che porta benessere, che contribuisce a definire la qualità della vita, ma anche una manifestazione di creatività e una forma di tutela della biodiversità perché basata sul non sprecare nulla, sul riutilizzo del cibo avanzato, sui prodotti stagionali e territoriali.
La cucina italiana è una delle punte di diamante dell’export tricolore.
Basti pensare che, secondo recenti dati di Unione Italiana Food a fronte di ricerche dell’istituto Istat, nel 2022 sono state esportate a livello globale 2,4 milioni di tonnellate di pasta italiana. La compravendita di questo genere alimentare made in Italy sale al 65,2% nei territori dell’Unione Europea, mentre si attesta al 37,8% verso Paesi extra UE. In testa c'è la Germania con 440 mila tonnellate seguita dal Regno Unito, a quota 296 mila.

Finora – come si apprende sulla versione italiana del sito ufficiale dell’agenzia Onu – l’Unesco ha riconosciuto come Patrimonio Immateriale 677 elementi in 140 Paesi del mondo. Si tratta di elementi che tengono vive le tradizioni trasmesse dai nostri antenati e che comprendono: espressioni orali, incluso il linguaggio, arti dello spettacolo, pratiche sociali, riti e feste, conoscenza e pratiche concernenti la natura e l’universo, artigianato tradizionale.
Per l’Italia, i primi beni immateriali a ricevere il riconoscimento sono stati, nel 2008, l’Opera dei Pupi Siciliani e il Canto a tenore sardo, seguiti poi dal saper fare liutaio di Cremona nel 2012 e, nel 2013, la Dieta mediterranea (che è transnazionale e include, oltre alla Penisola mediterranea, anche Cipro, Marocco, Croazia, Grecia, Spagna, Portogallo).
Nella lista dell’Unesco troviamo anche l’arte del “pizzaiuolo napoletano” (2017), quella dei muretti a secco (2018, comprendente anche altri Stati, tra cui la Svizzera), la cerca e la cavatura del tartufo (2021).