Senza l’indipendenza economica non c’è libertà per le donne
8 marzo 2023. Riflessioni e "istruzioni" per raggiungere la vera parità di diritti, a partire da un conto corrente dedicato
di Giovanna Guzzetti
Conto corrente Fuck off. Quale migliore trovata di marketing per festeggiare l’8 marzo? Devo ammetterlo, la definizione non è mia. L’ho letta in una intervista a una economista, Azzurra Rinaldi, autrice di Le donne non parlano di soldi.

Non si tratta di una indicazione tra lo snob ed il bon ton. Le donne non sono molto avvezze a trattare temi economici e finanziari per un ampio ventaglio di ragioni: non lavorano e quindi non hanno un reddito; non hanno un conto corrente (risulterebbero il 37 % con punte del 50% nelle regioni del Sud Italia); non partecipano (attivamente) alle decisioni di spesa e investimento della famiglia.
Nel tratteggiare questa situazione, decisamente poco adeguata per un paese dell’Occidente industrializzato, compare questa divertente ma emblematica definizione: il conto corrente Fuck off. Insomma, la materializzazione di un gruzzolo di proprietà e autogestito che serve proprio allo scopo: mandare al diavolo (la dizione corrente è un’altra, più cruda ed immediata, giusta per il Vaffa day) il marito/partner che ci sta rendendo la vita impossibile.
Come a suggerire: l’8 marzo risparmia i soldi dei fiori, che magari dovrai comprarti da sola o gettati al vento per una triste celebrazione versione Full Monthy, e mettili da parte, su un conto tutto tuo da cui passerà la tua indipendenza, la tua libertà e, talora, la tua sopravvivenza.
Mamma mia, si potrebbe obiettare, che tinte fosche in vista della Giornata della donna.
E invece, se pensiamo all’origine del Women’s Day e al fatto che l’8 marzo del 1908, ben 115 anni fa, le operaie dell'industria tessile Cotton di New York rimasero vittime dell'incendio divampato all'interno dell'azienda dove erano state segregate dai proprietari perché avevano scioperato per ottenere condizioni di lavoro migliori e salari più alti, non possiamo adagiarci sui risultati – in termini di condizioni di vita e di diritti – conseguiti, ma abbiamo l’obbligo di continuare a lottare per chi verrà dopo di noi e per chi, ai giorni nostri, la parola diritto la ignora.

E non sono soltanto (che già è intollerabile…) le ragazze afghane o iraniane – per fare un esempio sotto gli occhi tutti - alle quali è bandito l’accesso all’istruzione. Non è necessario guardare oltreconfine…
Pensiamo alle donne italiane che, prive di indipendenza economica, sono condannate alla peggiore delle schiavitù: quella dentro le mura domestiche, intrise di sopraffazione e violenza, perché non sanno dove andare, come mantenere se stesse ed i loro figli, e a cui le strutture presenti sul territorio non sono sempre in grado di dare una risposta tempestiva.
Senza l’indipendenza economica non c’è libertà per le donne. Di certo non c’è libertà dalla violenza.
E non si tratta di quello che alcuni chiamano, in modo dispregiativo, “vetero femminismo”: questo è uno sguardo alla realtà della vita sgombro sia da pregiudizi ideologici sia da lenti romantiche. Con il quale le donne, più o meno giovani, devono fare i conti. Anche quelli della spesa e dei risparmi perché nel conto Fuck off, piaccia o no, c’è il nostro salvacondotto per la libertà. Talvolta per la vita stessa.