Cateno Iraci, dalle corsie italiane alle terapie intensive svizzere
Dalla provincia di Enna a Brescia, poi a Stoccarda, e oggi a Basilea, il percorso di un infermiere specializzato che ha lasciato il suo Paese con un velo di amarezza: «In Italia si investe poco nella formazione del personale sanitario e, spesso, i percorsi formativi non vengono riconosciuti a livello retributivo».
Di Salvo Buttitta 30 aprile 2025
Dalle assolate corsie degli ospedali italiani alle moderne terapie intensive di Basilea: il percorso di Cateno Iraci è un viaggio che intreccia professionalità, coraggio e una costante ricerca di crescita. Questo infermiere specializzato, che tutti chiamano affettuosamente «Tino», ha trasformato quella che doveva essere «solo un’esperienza a breve termine, di un mese» in una carriera internazionale che, da Barrafranca in provincia di Enna, lo ha portato ai vertici della sua professione.
«Mi sono laureato in infermieristica a Brescia», racconta ripercorrendo le tappe di un’avventura che lo ha condotto oltre i confini italiani. «Subito dopo la laurea, ho avuto l’opportunità di svolgere un tirocinio all’estero». Una scintilla che ha acceso un brillante percorso professionale destinato a non fermarsi più. «Durante quel periodo l’azienda mi ha supportato nello studio del tedesco. Dopo aver ottenuto la certificazione B2, ho iniziato a lavorare presso un ospedale a Stoccarda».
La crescita professionale è stata rapida e costante: prima in reparto ordinario, poi in subintensiva, dove ha conseguito una specializzazione, fino al ruolo di caposala. Ma il suo sguardo era già rivolto oltre, verso nuove sfide. «Dopo una breve esperienza come caposala, mi sono trasferito in Svizzera, dove ho intrapreso e completato lo scorso anno un diploma di specializzazione in Cure Intensive». Oggi, a distanza di più di due anni dal suo arrivo a Basilea, Cateno lavora come infermiere specializzato in rianimazione, un ruolo di grande responsabilità che ha raggiunto grazie alla determinazione e alla voglia di mettersi in gioco.
Cosa ha spinto Cateno a lasciare l’Italia? «Se inizialmente, come detto, doveva essere un’esperienza lavorativa a breve termine, con il tempo, però, le possibilità di crescita professionale hanno esteso sempre di più la scadenza». Un fenomeno, quello dei professionisti sanitari che lasciano l’Italia, che riflette una realtà preoccupante del sistema sanitario nazionale (leggi qui).
«Per quanto riguarda il mio settore, purtroppo credo che non avrei avuto le stesse possibilità», riflette con un velo di amarezza. «In Italia si investe poco nella formazione del personale sanitario e, spesso, i percorsi formativi non vengono riconosciuti a livello retributivo». Una situazione che contrasta nettamente con la Germania, e ora con la Svizzera: «Qui c’è una maggiore possibilità di reinventarsi e di intraprendere nuove strade professionali».
Il legame con l’Italia rimane comunque forte: «Mi mancano soprattutto la mia famiglia e gli affetti. Mi manca il mare, la cucina siciliana e le giornate d’estate con gli amici». Un legame che mantiene vivo con frequenti ritorni a casa e grazie a una rete di connazionali in Svizzera: «Qui a Basilea ho trovato un bel gruppo di italiani che mi fa sentire più vicino a casa».
Tra le sfide più significative affrontate da Cateno, il trasferimento dalla Germania alla Svizzera occupa un posto speciale: «A Stoccarda avevo amici e parte della mia famiglia, mentre a Basilea non conoscevo nessuno. L’idea di ricominciare da zero, di lasciare un lavoro stabile per qualcosa di incerto, mi spaventava».
Un momento di svolta affrontato con coraggio e determinazione: «In quel momento ho deciso di concentrarmi su ciò che desideravo fare, piuttosto che su ciò che stavo lasciando. Sapevo che avrei conosciuto nuove persone e vissuto nuove esperienze». Una scelta che, guardando indietro dopo due anni, definisce «una delle migliori che abbia mai fatto».
Per chi sogna di seguire le sue orme, Cateno ha un messaggio chiaro, che diversi expats hanno espresso nelle pagine del Corriere dell’italianità: «Consiglio a chiunque di fare un’esperienza all’estero. Oltre alla crescita professionale, è soprattutto quella personale a beneficiarne». Un invito ad aprirsi a nuove prospettive: «Si impara a vedere il mondo da un altro punto di vista, si aprono opportunità inaspettate e si incontrano persone provenienti da tutto il mondo che ti arricchiscono profondamente».
Una testimonianza che risuona particolarmente in un’epoca in cui sempre più professionisti sanitari italiani guardano oltre confine, non solo per necessità economica, ma per quella sete di crescita e riconoscimento che, troppo spesso, l’Italia fatica a soddisfare.
Infermieri in fuga,
un fenomeno in continua crescita La storia di Cateno Iraci è emblematica dell’esodo del personale sanitario, in particolare infermieristico. I numeri sono allarmanti: oltre 15mila infermieri hanno lasciato l’Italia solo negli ultimi tre anni, con un picco di seimila partenze nel 2023. Una vera e propria emorragia di professionisti che assume dimensioni ancora più preoccupanti guardando al 2024, quando nei primi nove mesi oltre 20mila infermieri si sono dimessi dal Servizio sanitario nazionale.
Secondo il Nursing Up, sindacato italiano dei professionisti sanitari della funzione infermieristica, negli ultimi 22 anni più di 48mila infermieri hanno cercato fortuna oltre confine. Formati con risorse italiane, questi professionisti portano competenza e dedizione all’estero, dove trovano condizioni lavorative e stipendi che l’Italia sembra incapace di offrire. Basilea, Zurigo, Monaco, Londra, le destinazioni cambiano *, ma le cause rimangono le stesse: turni massacranti, carichi di lavoro eccessivi e buste paga inadeguate.