Francesco, l’eredità del Papa che ha cambiato la Chiesa
Il pontificato di Bergoglio sarà ricordato come il più prolifico nel campo delle riforme, dalla trasparenza finanziaria, alla lotta alla pedofilia, fino alla promozione delle donne ai vertici del Vaticano. A Leone XIV ha lasciato in eredità una Chiesa sempre aperta sulle vicende del mondo, ma con una maggiore attenzione ai popoli oppressi.
Di Guido Gozzano 30 maggio 2025
Papa Francesco non è stato certamente il primo pontefice ad avviare un processo di riforma ecclesiale. Ma si è spinto verso confini mai visti, dalla trasparenza finanziaria, alla lotta alla pedofilia, fino alla promozione delle donne, suore e laiche, ai vertici della Chiesa. Ha forse modificato più di ogni altro pontefice gli assetti ecclesiastici, ma il ciclo riformista in verità «è partito da lontano», rammentano gli storici, in continuità con lo spirito del Concilio Vaticano II, aperto nel 1962 da Giovanni XXIII e concluso tre anni dopo da Paolo VI.
La chiesa da allora è cambiata, ma con Francesco ha spiccato un salto così grande che sembra sia stato lui a compiere in toto la «rivoluzione» avviata negli anni Sessanta. «In realtà il pontificato di Bergoglio», sottolinea all’agenzia di stampa Adnkronos Francesco Clementi, ordinario di diritto pubblico comparato alla Sapienza e autore del volume Città del Vaticano, «segna il compimento di un lungo percorso di riforma».
Fra le mosse più significative, «Francesco ha trasformato radicalmente la geografia del Conclave», spiega Clementi, e lo ha fatto in modo da blindare la sua linea politica, e perseguire il cambiamento. Qualche giorno prima della fumata bianca, avvenuta lo scorso 8 maggio, l’esperto vaticanista si era in un certo qual modo fatto profeta dell’elezione di Robert Francis Prevost, il più bergogliano di tutti: «Su 135 cardinali elettori, 108 sono stati nominati da Francesco, superando il tetto dei 120 stabilito da Paolo VI, ora servono 90 voti per eleggere un Papa, e sarà molto difficile farlo contro la linea politica di Bergoglio».
Da quel voto è infatti scaturito un profilo, quello del cardinale statunitense, affine all’opera pastorale e degno erede di Francesco. Leone XIV ha subito siglato il legame con il suo predecessore, riprendendo uno degli ultimi messaggi di Bergoglio: «Disarmiamo la comunicazione da ogni pregiudizio, rancore, fanatismo e odio; purifichiamola dall’aggressività». Che il nuovo Papa ha espresso con parole sue, ora divenute uno slogan pacifista mondiale: «Una pace disarmata, disarmante, umile». Seguite da un invito a capovolgere ogni prospettiva bellicista e a convertirla con il dialogo, «perché gli altri non sono anzitutto nemici, ma esseri umani: non cattivi da odiare, ma persone con cui parlare».
Francesco ha davvero «cambiato» la Chiesa, e non è un modo di dire. Con la nuova Costituzione apostolica del 2023, che ha sostituito il testo del 2000 firmato da Papa Giovanni Paolo II, ha semplificato l’ordinamento della Santa Sede, rendendolo più coerente con la sua visione. Dalla quale Leone XIV, eccetto su alcuni punti, non sembra volersi scollare.