Epatite C, gli italiani colpiti quasi quattro volte di più rispetto al resto della popolazione svizzera

Il progetto «Bel Paese», curato da Erminia Gagliotta e dalla dott.ssa Claudia Bernardini, punta a diagnosticare il maggior numero possibile di persone in Svizzera. Il 28 luglio si celebra la giornata mondiale contro l’epatite virale.

Di Ludovica Pozzi 3 luglio 2025

 

Da quattro anni solca le strade in Svizzera per informare e sensibilizzare gli immigrati italiani in materia di epatite C. Erminia Gagliotta coordina un progetto mirato a far capire che la malattia colpisce gli italiani quasi quattro volte di più rispetto al resto della popolazione elvetica. Il nome del progetto è «Bel Paese», nato nel 2020 si indirizza agli italiani over 60: sono numerosi in Svizzera, ed è fra loro che serpeggia l’epatite C, secondo i dati del sistema di dichiarazione per malattie infettive dell’Ufficio federale della sanità pubblica.

Erminia Gagliotta nel 2021 crea una «conferenza informativa» e inizia un tour in Svizzera tedesca, a Zurigo dapprima dove ha sede l’associazione Epatite Svizzera, in cui è stato concepito il progetto Bel Paese. «Da un lato informiamo i diretti interessati», ci spiega la coordinatrice, «dall’altro i medici di base, pregandoli di testare i loro pazienti italiani».

Nella scorsa primavera Gagliotta per la prima volta «finalmente» è approdata in Svizzera romanda, a Ginevra, accolta dalle Volontarie Vincenziane, un’associazione di carità presso la Missione Cattolica. Lo scopo è informare più persone possibili, invitandole a sottoporsi a un test, e diffondere un semplice messaggio: «L’epatite C si può curare!».

 

Erminia Gagliotta. © DR 2025

 

«Spesso», dichiara Gagliotta, «ad aprirci le porte sono state più che altro le missioni cattoliche». In una delle nostre conversazioni ci racconta che a San Gallo la sua associazione ha persino ricevuto la benedizione del parroco... Mentre i Comites e le associazioni italiane rimangono inspiegabilmente indifferenti alla problematica. «C’è un muro di diffidenza che non riusciamo a oltrepassare, in particolare nei cantoni di lingua francese».

Nella sua campagna, Gagliotta è affiancata dalla dott.ssa Claudia Bernardini, infettivologa, caposervizio e specialista HIV presso Arud, una delle principali istituzioni per le dipendenze in Svizzera. Del progetto Bel Paese gestisce l’informazione medica. «Se non è curata, l’epatite C può portare a patologie croniche, e avere persino un decorso mortale. Può far insorgere malattie come la cirrosi epatica e il diabete», rammenta Bernardini. «Se invece è curata, oggi con efficaci farmaci antivirali, si guarisce in poche settimane e in oltre il 95% dei casi».

Il nodo è la prevenzione, e questa è efficace tramite un gesto semplice: il test. «Per noi il successo consiste nel portare le persone a fare un normale prelievo di sangue dal braccio (vedi foto)», dichiara Erminia Gagliotta, «dal medico di famiglia o presso un laboratorio indipendente di analisi». La coordinatrice ricorda che l’obiettivo dell’OMS è l’«eliminazione dell’epatite virale» entro il 2030, a cui collabora l’associazione Epatite Svizzera. Eliminazione significa la riduzione del 95% dei nuovi contagi. «La malattia spesso progredisce insidiosamente negli anni, nei decenni addirittura, e non mostra sintomi chiari, per questo motivo è anche conosciuta come malattia silente», puntualizza la dott.ssa Claudia Bernardini.

 

Dott.ssa Claudia Bernardini / 2025

 

Come si spiega la preponderanza degli italiani over 60 fra la popolazione svizzera colpita dall’epatite C? «Storicamente la risposta consiste nella maggiore diffusione del virus nel Sud del mondo, in contesti di grande povertà negli anni del dopoguerra», afferma Claudia Bernardini, sottolineando un evidente effetto statistico: «Più i casi sono numerosi, più il virus si diffonde, è un circolo vizioso che si osserva nei fenomeni di contagio virale».

C'è da aggiungere che il virus dell’epatite C è stato identificato nel 1989, e fino ad allora il dono del sangue è stato, inconsapevolmente, un fattore di trasmissione. Prima di questa data erano possibili vie di contagio «come le pratiche paramediche non sterili, le iniezioni di vitamine o di sostanze nutrienti con siringhe non sufficientemente protette perché si ignorava che la bollitura non uccideva il virus», rammenta la dott.ssa Claudia Bernardini, sottolineando che «oggi la trasmissione può comunque oggi avvenire tramite un contatto sangue-sangue in un contesto di scarsa igiene». Il rischio non è da escludere nemmeno durante i rapporti sessuali, «sempre se avviene uno scambio di sangue».

Le infezioni più comuni si riscontrano in Africa, nella regione del Pacifico occidentale e nei paesi del Mediterraneo. In queste regioni del mondo, dove in passato i contagi erano più frequenti, le persone nate tra il 1950 e il 1985 sono state colpite particolarmente spesso appunto dall’epatite C. Insomma sono al contempo storiche, sociali e geografiche le ragioni che portano a una più grande rappresentatività degli italiani rispetto al resto della popolazione svizzera.

I danni dell’epatite C erano noti da tempo, ma è da poco meno di quarant’anni che la sua causa specifica, quel virus insidioso che corrode silenziosamente il fegato è stato isolato, studiato, capito. Un periodo che può sembrare molto lungo, ma non è tuttora sufficiente dal punto di vista dell’informazione e della prevenzione, e dunque della consapevolezza generalizzata. Soltanto una manciata di anni fa, nel 2020, è stato attribuito il premio Nobel agli scienziati che hanno isolato il virus dell’epatite C, Harvey J. Alter, Charles M. Rice e Michael Houghton.

C’è anche da tenere in conto la lentezza, e la relativa complessità, della risposta sanitaria nazionale, suggeriscono Erminia Gagliotta e Claudia Bernardini. Fino a un paio di anni fa, la presa a carico dei pazienti affetti da epatite C era una prerogativa degli specialisti, ora dal 2023 in Svizzera anche i medici di base possono effettuare la terapia. «Ma non sanno sempre dove trovare informazioni», osserva Erminia Gagliotta, «e soprattutto non sono informati del fatto che, in particolare, occorre controllare la popolazione italiana».

Così ai medici di base, o di famiglia, l’associazione Epatite Svizzera dedica uno dei suoi progetti intitolato «Help Care», un impegno che, assieme al progetto «Bel Paese», è mantenuto senza sussidi federali, con poche risorse. Oggi in Svizzera 32mila persone convivono con l’epatite C, e ogni anno circa 200 muoiono a causa della malattia. Decessi che potrebbero essere evitati con una campagna di prevenzione, e test a tappeto. L’epatite è dal 2024 parte di un nuovo programma nazionale, proprio perché la malattia rimane tuttora una minaccia nel Paese.

«In Egitto invece, dove sono stati effettuati test a tappeto, è stata debellata», puntualizza Claudia Bernardini. L’Egitto è stato insignito dall’OMS nel 2023 del «Gold Tier» per aver eliminato la malattia fra la popolazione, il primo Paese al mondo a ricevere il riconoscimento mondiale. Era uno degli Stati al mondo con i più alti tassi di epatite C. In poco più di dieci anni è riuscito a diagnosticare l’87% della popolazione e a curare il 93% delle persone malate, sconfiggendo il virus.

Ma la campagna egiziana, imposta dall’alto, frutto di una procedura autoritaria, non è compatibile in un Paese europeo. Se è facile curarsi dall’epatite C, la tempistica dell’inizio della terapia è fondamentale per prevenire eventuali danni conseguenti. E allora ai lettori e alle lettrici del Corriere dell’italianità, Erminia Gagliotta e Claudia Bernardini rivolgono un semplice messaggio: «Fate il test, per voi è gratis, poiché è coperto dalla LaMal, recatevi dal vostro medico di famiglia o presso un laboratorio indipendente di analisi. E non dimenticate di farlo sapere attorno a voi!».

Per maggiori informazioni: https://it.hepatitis-schweiz.ch/projekte/bel-paese

 
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