Talenti, cervelli e braccia, la mobilità non è una fuga
La XX edizione del Rapporto italiani nel mondo fotografa un Paese da cui non si smette di partire, da dove nel 2024 sono andate via quasi 156mila persone, un record storico. Ma soprattutto la lettura ventennale dei movimenti migratori sfocia nella ridefinizione della mobilità in chiave europea, nell’esigenza di sfatare alcuni miti e correggere le narrazioni fuorvianti, «sottraendole a ideologie e strumentalizzazioni».
Di Guido Gozzano 26 novembre 2025
A fare la valigia oggi sono in particolare i giovani tra i 18 e i 34 anni, seguiti dagli under 50, che spesso partono al seguito dei figli. La XX edizione del Rapporto italiani nel mondo della Fondazione Migrantes, presentato l’11 novembre a Roma, conferma un protagonismo accentuato dei giovani nel flusso di espatri, in crescita costante negli ultimi anni. L’estero permane il «nuovo ascensore sociale», ma occorre chiarire un aspetto cruciale, è il momento che la mobilità degli italiani venga compresa per quello che è: una ricerca di opportunità, non è una fuga.
«È più che altro l’opportunità che chiama, non la fragilità che spinge a partire», ribadisce Delfina Licata, sociologa e curatrice del Rapporto. La prospettiva è cambiata. La narrazione prevalente della «fuga dei cervelli» è un’interpretazione semplicistica, e riduttiva. «Fa parte di un tutto», sottolinea Licata, «ma è il tutto che bisogna tenere sempre a mente». Così la ventesima edizione del Rapporto italiani nel mondo segna uno spartiacque nella cognizione della mobilità italiana.
Tenendo a mente il tutto, ecco i «miti» che il Rapporto ci invita a sfatare. Punto primo: i giovani che partono non sono tutti iperqualificati, solo il 32,8% possiede un titolo di studio «medio-alto», laurea triennale, master e dottorato di ricerca, il 67,2% un titolo «medio-basso», licenza media o diploma di liceo. Non vanno via solo i laureati, anzi prevalgono i diplomati. Punto secondo: come detto, la partenza è ormai sempre più una dimensione di «scelta, desiderio e progettualità personale», scandisce Delfina Licata.
La curatrice del Rapporto ci esorta a cogliere una chiave di lettura essenziale: «La mobilità fa parte integrante della nostra vita, soprattutto di quella dei giovani, dei cosiddetti nativi digitali, che si sentono parte di uno spazio e di un tempo in cui la possibilità di spostamento è un dato ordinario, non è più un fenomeno nel senso di straordinarietà».
Punto terzo: l’Italia non si è trasformata da Paese di emigrazione a Paese di immigrazione. «Da sempre è Paese di emigrazione, continua tuttora e continuerà ad esserlo», precisa Licata: «Tra il 2006 e il 2024 l’emigrazione è diventata strutturale». Il tema è da «sottrarre a ideologie e strumentalizzazioni», puntualizza Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la comunicazione della Sante Sede, introducendo il Rapporto con monsignor Pierpaolo Felicolo, direttore della Fondazione Migrantes.