«Morti sotto il ghiaccio, vivi nella memoria», l’inestinguibile ricordo di Mattmark

Alla sessantesima commemorazione della tragedia, mai come oggi risuonano le parole scolpite nella lapide commemorativa eretta nel 2005. Siamo qui per celebrare la vita e onorare le 88 vittime della catastrofe.

Di Padre Costante missionario 30 agosto 2025

Padre Costante, nato il 10 gennaio 1930, è il responsabile della Missione cattolica italiana del Vallese. © Dino Rao, 30 agosto 2025.

 

Sotto il simbolico tendone, la folla di persone di ogni lingua e fede è accalcata per dare inizio alla commemorazione del sesto decennale della tragedia di Mattmark. È il 30 agosto 2025. Ore 10,30.

Oggi non siamo qui uniti, stretti fra noi, per ricostruire il racconto dei fatti accaduti o per cercarne le cause. Ma come ad ogni funerale, abbiamo davanti agli occhi i volti degli 88 che non ci sono più, tra i quali 56 dei nostri connazionali. È tempo del silenzio o della preghiera.

Commemorare una tragedia non significa rimembrare un fattaccio. Significa unirsi stretti per riflettere sul costo umano di tante vittime strappate alla vita. Siamo qui per celebrare la vita. Che deve essere conservata, protetta e assicurata. Perché la vita è il bene più prezioso che vi sia. Perché la vita è sacra. Alla morte di un nostro caro, diciamo che è stata la sua ora, o il suo destino. Noi credenti usiamo affermare: è passato all’altra vita, chiamato alla Fonte della vita a perpetuarla nella beatitudine.

Il celebrante trova opportuna la pagina del Vangelo odierno, dove Gesù dice: «I primi saranno ultimi e gli ultimi saranno i primi». Qui è capovolta la gerarchia di valori. Mi colpisce, mi fa riflettere. Ecco il senso della tragedia che oggi lamentiamo. I lavoratori nei cantieri di montagna, o in costruzione di galattiche città, di ponti e strade, son gli ultimi, gli schiavi dell’emigrazione e della povertà, gente buttata nel duro lavoro, in situazioni al limite del disumano.

Il profitto e l’insaziabilità dell’oro sono il valore dei cosiddetti «primi». L’ordine gerarchico tipico di un certo mondo, in ogni epoca e civiltà. In Oriente ed in Occidente. Perfino nei Paesi cosiddetti del Terzo Mondo. È l’umanità divisa in classi e in primi posti che generano lotte e guerre selvagge. Con Gesù, noi oggi omaggiamo gli ultimi e ci ripromettiamo di essere sempre con loro, a loro difesa.

Con tutti i presenti, oggi, siamo qui perché vogliamo ribaltare evangelicamente la gerarchia del potere abusato. Oggi annunziamo al mondo il precetto di Gesù: «Siate servi gli uni agli altri». L’iniziativa della commemorazione di Mattmark è ricca di studi, ricerche e incontri sindacali, atti a promuovere l’educazione giovanile e mediatica.

Questo è il «sillabario» del mondo del lavoro, da apprendere oggi, l’educazione, la prevenzione, la sicurezza. A partire, però, dalla valorizzazione massima dell’essere umano, nella sua dignità, integrità e sacralità. Punti fermi dell’umana civiltà.

Al termine del rito religioso, monsignor Jean-Marie Lovey, vescovo della diocesi di Sion, ha benedetto molte corone deposte dalle autorità e associazioni. Poi celebranti e autorità, vessilli e i tanti fedeli e partecipanti sono scesi al cippo commemorativo per deporre corone e mazzi coloriti, simboli dell’onore e della riconoscenza ai «morti sotto il ghiaccio, vivi nella memoria».

La corona del presidente della Repubblica Sergio Mattarella è stata collocata alla sommità del corno roccioso, sormontato dalla Croce di Cristo, simbolo dell’umanità sofferente. Sotto, a strapiombo, la piana di roccia cruda e arida di verde.

Il Cimitero di Mattmark!

 
Corriere dell’italianità


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