Tra i monti dell’Abruzzo, due preti speciali
È una comunità che «pedala», va cioè avanti con determinazione, quella di Popoli, in provincia di Pescara, grazie anche alla vivacità di don Giberto, di origine colombiana, e all’intraprendenza di don Francesco, la cui storia vocazionale ha dell’incredibile.
Di Conferenza episcopale italiana 26 novembre 2025
Da sinistra: don Francesco e don Gilberto. © Cei / 2025
Nel cuore dell’Abruzzo, circondata dal massiccio della Maiella e dalla Valle Peligna, la cittadina di Popoli sorge dove il fiume Aterno confluisce nel Pescara, in una zona impreziosita da acque termali e salutari fanghi sulfurei. La diocesi è quella di Sulmona Valva, la provincia quella di Pescara, e in questo piccolo comune di meno di cinquemila anime le due parrocchie di San Lorenzo Martire e S. Maria della Pace sono guidate da don Gilberto Uscategui Restrepo, e dal suo vice don Francesco Romito.
Di origine colombiana, don Gilberto, sessantenne giunto a Popoli da meno di due anni, aveva già avuto modo di essere amato e apprezzato dalla gente di Sulmona, che si era congedata da lui regalandogli una bicicletta. E l’impressione che si ha, arrivando a Popoli, è proprio quella di una comunità che «pedala», andando avanti con determinazione e tanta buona volontà, grazie anche ai due sacerdoti affiatati e concordi.
«Quando in Colombia, trentaquattro anni fa, prostrato per terra ho detto sì, avevo paura di non sentirmi all’altezza», confessa don Gilberto. «Il Signore, invece, ancora oggi mi stupisce e mi meraviglia con la forza della sua presenza, per quello che riesce a fare nel cuore delle persone. C’è una gioia costante nella mia vita e questa è la cosa più grande che ho potuto ricevere. Per me, ad esempio, è stata una fonte di immensa gioia e un grande dono proprio la presenza di don Francesco. Da quando possiamo lavorare insieme sta succedendo quello che accadeva in Palestina quando vedevano Gesù con i suoi discepoli. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, scrive l’evangelista Giovanni al capitolo 13, versetto 35: se avete amore gli uni per gli altri».
Don Francesco, 32 anni compiuti a marzo, ha appena celebrato un anno di vita sacerdotale e quando racconta la propria storia vocazionale, iniziata in quel di Castel di Sangro (AQ), sembra attingere dalla sceneggiatura di un film. E invece è tutto vero. «La mia vita di ragazzo – ricorda – non aveva un minuto di tranquillità, forse ad eccezione del sabato. Quando avevo quindici anni è morto mio nonno, che aveva una piccola azienda agricola, e quando ho compiuto sedici anni l’ho ampliata e sono arrivato ad avere quasi duemila polli. Andavo prima in campagna, intorno alle 5.30; poi alle 6.30, avevo il pullman che mi portava al liceo, a Sulmona, e proprio nel pullman studiavo, all’andata e al ritorno: latino, greco, storia... A diciannove anni decisi di entrare in seminario, appena dopo la maturità. Dopo la prima settimana di scuola, però, quando tornai a casa, mi sentii improvvisamente male: mi trovarono dei calcoli al fegato e alla cistifellea e mi dovettero operare d’urgenza».
«L’intervento andò male – prosegue don Francesco – perché mi tagliarono un ramo della vena porta e con una notte persi quattro litri di sangue, al punto che stavo morendo. Mi trasfusero subito altrettante sacche di plasma ma, incredibilmente, di un gruppo sanguigno sbagliato. Sembrava mi restassero pochissimi giorni di vita, mi davano quasi per spacciato. Dov’è Dio in quei momenti? Quella era la domanda che mi risuonava dentro. Nutrivo una rabbia profonda contro il Signore, un sentimento che, anche dopo che riuscii a riprendermi, mi ha tenuto lontano da Lui per circa quattro anni».
«Un giorno – conclude il giovane sacerdote – mi trovavo ad Assisi per una gita parrocchiale ed ero veramente in piena crisi. Incontro un clochard, che mi dice di essere un ex scienziato del Cern di Ginevra. Ce ne stavamo per andare e c’era una enorme folla, per via di un concerto. Tra la folla rivedo quel clochard e accanto a lui c’è un prete, che gli sta curando delle ferite alle gambe. Improvvisamente si girano e in mezzo a migliaia di persone guardano proprio me. Quei due sguardi mi trafissero il cuore: fu come se mi avesse guardato Gesù in persona».
Il resto è cronaca della vita di Popoli, dove grazie alla dedizione e alla fede di questi due sacerdoti, la vita di tutta la comunità sta rifiorendo. «La cosa più bella – dice don Francesco – è lo stare con la gente: in ciascuno trovi sempre quel segno che il Signore dà per te». «Il Signore – gli fa eco don Gilberto – certamente ci chiama a vivere nel suo amore, prima ancora che a parlarne».