«L’Unione europea deve ora imparare a difendersi da sola»

Fra le voci più autorevoli in Europa nel panorama delle relazioni internazionali, Nathalie Tocci auspica finanziamenti diretti, ben oltre i prestiti attuali ai Paesi membri su base volontaria, in modo da operare «un vero salto» verso una difesa europea, cioè comunitaria: «Senza modifiche ai trattati, la gestione nazionale rimarrà predominante, poiché la difesa resta una prerogativa degli Stati».

Di Matteo Galasso 3 luglio 2025

 

La «difesa comune» e il progetto «ReArm Europe» rimangono al centro del dibattito politico, complice la persistente incertezza sul ruolo della Nato, con la minaccia di Trump di ritirare gli Usa o di non intervenire in caso di attacco a un Paese alleato. L’obiettivo di rafforzare l’autonomia strategica dell’Ue, ormai da diversi mesi all’ordine del giorno, è in contrasto con l’obbligo degli Stati membri di aumentare le spese per la Nato. Per capire cosa sta succedendo, abbiamo raccolto l’analisi di Nathalie Tocci, direttrice dell’Istituto Affari Internazionali di Roma.

L’obiettivo di autonomia strategica europea può andare di pari passo con il rafforzamento dell’alleanza atlantica o sono obiettivi oggi incompatibili?
Nathalie Tocci
: Fino a poco tempo fa avrei risposto che erano compatibili: la componente europea dell’alleanza poteva convivere con maggiori investimenti comuni. Oggi però si dubita della credibilità stessa dell’alleanza, soprattutto alla luce dell’atteggiamento recente degli Stati Uniti. Dal mio punto di vista non è più certo che, in caso di aggressione a un Paese alleato europeo, Washington intervenga automaticamente. È quindi legittimo chiedersi se la Nato resti una garanzia affidabile. I rapporti internazionali sono cambiati: non si tratta tanto di un abbandono da parte degli Usa, quanto della necessità che l’Europa impari a difendersi autonomamente. È un passaggio inevitabile. ripeto: l’Ue deve imparare a gestirsi da sola, anche nella difesa.

 
 

Nathalie Tocci 2025

 
 

Molti considerano altamente improbabile un attacco russo a un Paese membro dell’Alleanza atlantica. Qual è il suo punto di vista?
I servizi di intelligence forniscono una valutazione diversa. Gli apparati tedeschi e baltici ritengono molto probabile un’aggressione russa a uno Stato baltico nei prossimi due o tre anni. Chi ha responsabilità politiche deve prendere queste valutazioni sul serio, anche se nella conversazione quotidiana la minaccia viene spesso sottovalutata.

La Russia ha impiegato anni per occupare quattro regioni ucraine: è davvero una minaccia credibile per un Paese alleato della Nato?
Eventi irrazionali possono verificarsi. Forse non accadrà, ma se c’è anche solo un ragionevole dubbio, è doveroso investire in difesa per mitigare il rischio. La deterrenza funziona così: un potenziale aggressore valuta i rischi solo se sa che le contromisure sono efficaci. Il presidente estone ha spiegato che la sua relativa tranquillità deriva proprio dall’aumento degli investimenti e dall’integrazione regionale con i Paesi baltici e nordici, un deterrente sempre più solido.

Quindi il rafforzamento militare europeo ha soprattutto una funzione preventiva?
Esatto. L’obiettivo della difesa comune è la deterrenza: il successo consisterebbe nel non dover mai ricorrere alle armi.

Nel White Paper della Commissione europea, pubblicato lo scorso 19 marzo, difesa comune e progetto ReArm Europe sono strettamente connessi, mentre in Italia spesso vengono distinti. Qual è la vera differenza tra i due?
ReArm Europe si basa su due pilastri, uno è su base nazionale, l’altro è comunitario, questo rappresenta un primo passo verso una difesa comune, ma è gestito a livello nazionale. Nel dettaglio, il primo pilastro consente ai Paesi dell’Eurozona di ottenere deroghe fiscali e rende di fatto esenti le spese per la difesa nazionale dai vincoli del Patto di stabilità, una misura incitativa che punta a sbloccare, complessivamente, 650 miliardi di investimenti potenziali nazionali.

Il secondo è uno stanziamento comunitario di 150 miliardi, tramite lo strumento Safe, che finanzia consorzi europei di imprese della difesa con prestiti garantiti dall’Ue, ma mantiene però questa spesa sotto il controllo nazionale, poiché la difesa resta una prerogativa statale. Senza modifiche ai trattati, la gestione nazionale rimarrà predominante. C’è da dire che i 150 miliardi comunitari, pur inferiori rispetto ai 650 miliardi potenziali nazionali, rappresentano risorse concrete, mentre i 650 miliardi sono una possibilità teorica, dipendente dalla volontà degli Stati, finora non esercitata in Italia e Francia, già significativamente indebitati.

Come valuta il dibattito europeo sull’ipotesi di emissione di titoli comuni per la difesa, simili ai Recovery Fund?
Lo strumento Safe, cioè i 150 miliardi per rafforzare la produzione militare europea, dovrebbe assumere al ruolo di emettore di titoli comuni per la difesa. Ma al momento opera più come il programma «Sure» (strumento europeo di sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione in un’emergenza: ndr) che come il Recovery Fund, ovvero eroga prestiti anziché sovvenzioni a fondo perduto. Il salto vero sarebbe prevedere finanziamenti diretti, ma siamo ancora lontani da questa prospettiva. Nel marzo 2024, per far fronte alle esigenze di difesa 'a breve termine', la Commissione europea ha stanziato 1,5 miliardi rafforzando l’industria europea della difesa tra il 2025 e il 2027. Ora i 150 miliardi di cui si parla rappresentano sì un incremento significativo rispetto agli 1,5 miliardi, ma restano limitati rispetto ai potenziali 650 miliardi nazionali.

Creare nuovo debito pubblico per finanziare il riarmo europeo è una strada percorribile o comporta il rischio di squilibri duraturi?
Questa domanda non può essere affrontata se prima non si ha chiara la minaccia. È evidente che laddove la minaccia è percepita debole o inesistente, il riarmo rischia di essere controproducente, specie se comporta un aumento del debito pubblico. Se invece la minaccia è reale ed esistenziale, allora questa prevale su ogni altra considerazione. La storia, come la Seconda guerra mondiale, insegna che quando è in pericolo la sopravvivenza, l’equilibrio dei conti pubblici passa in secondo piano.

Nathalie Tocci è una politologa italiana, direttrice dell’Istituto Affari Internazionali di Roma, membro del board dell’European Policy Centre di Bruxelles, e editorialista dei quotidiani La Stampa e The Guardian.

 
Corriere dell’italianità


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