«All’estero, la cultura italiana deve presentarsi in mondo inaspettato, non banale»
A fine luglio Francesco Ziosi termina l’incarico alla direzione dell’Istituto Italiano di cultura di Zurigo. Quattro anni intensi, in cui si è confrontato con un pubblico di qualità che riflette «la grande dignità che il cittadino italiano ha avuto nella vita quotidiana degli svizzeri».
Di Antonella Montesi 3 luglio 2025
Francesco Zosi (a destra) modera una discussione pubblica con Massimo Bray per i 100 anni dell’enciclopedia Treccani. Foto © Istituto Italiano di Cultura di Zurigo / 15 aprile 2025
Quattro anni all’insegna della cultura italiana, ma non solo. Francesco Zosi, classe 1982, direttore giovane e dinamico formatosi con studi di Storia antica alla Normale di Pisa, ha lasciato il segno all’Istituto Italiano di Cultura di Zurigo, da cui si congeda a fine luglio. Lo abbiamo incontrato nel suo ufficio al Consolato di Zurigo, dove ci ha concesso una lunga intervista in cui la cultura italiana si collega a una grande riflessione e alla cura dell’eredità dell’emigrazione in Svizzera.
Direttore, dopo quattro anni a Monaco di Baviera, ad agosto 2021, in piena pandemia, parte il suo incarico alla direzione dell’Istituto Italiano di Cultura di Zurigo. Cosa ricorda di quel concitato periodo iniziale?
È stato in effetti un inizio mandato non facile. Ad agosto 2021, culturalmente ripartono gli eventi in presenza, a novembre organizziamo un primo evento sulla storia dell’emigrazione italiana. Un fenomeno quello dell’emigrazione in Svizzera, che dall’Italia si capisce poco e che invece rappresenta tuttora l’ossatura della società svizzera e che è particolare rispetto alle altre emigrazioni in Europa. Non a caso siamo gli unici ad avere un istituto culturale attivo pienamente – francesi, spagnoli e tedeschi nei loro istituti culturali hanno più che altro dei centri di esami - mentre per noi è importante il dialogo con la comunità locale.
Nel mio lavoro a Zurigo, quello che ho avuto a cuore è stato sviluppare una riconoscibilità, una personalità e un’affidabilità proprie dell’Istituto, il che ha significato organizzare la programmazione per lo più in proprio, in modo che il pubblico vedesse e capisse chi siamo. Per far ciò abbiamo messo a frutto un nostro handicap, che è oggi l’assenza di spazi; abbiamo «navigato» per la città, siamo andati in ambienti periferici, e talvolta anche «in provincia», fuori Zurigo dunque, ma sempre all’interno del cantone. Ciò ha portato ad una risposta molta positiva da parte del pubblico.
A proposito di pubblico, il vostro è molto stratificato. Qual è il vostro target?
È vero, per quanto riguarda il pubblico, si può dire che viaggia su un doppio, anzi triplo binario. Zurigo è una città cosmopolita, dove non c’è più di fatto una distinzione fra italiani e svizzeri, in quanto per gli italiani si parla ormai di quarta generazione. Quello che ci aiuta è la grande dignità e considerazione che il cittadino italiano ha avuto nella vita quotidiana degli svizzeri, anche in strati sociali dove meno te lo aspetteresti, e questo fa sì che alcune cose pensate anche senza l’intermediazione linguistica abbiano avuto un pubblico significativo.
Il pubblico comunque varia a seconda dell’evento. Ad esempio, nei concerti di musica classica, che offriamo gratuitamente, prevale il pubblico svizzero; mentre alle presentazioni dei libri, anch’esse beninteso gratuite, il pubblico è in maggioranza italiano. Esistono poi manifestazioni pensate come dialogo tra l’Italia e la Svizzera. Ad esempio l’evento del 2023 «Heidi contro Pinocchio». Non tutti sanno forse che entrambi i libri escono nello stesso anno, nel 1881. In modi diversi, cambiano la storia della letteratura per l’infanzia e i due protagonisti stanno quasi a rappresentare emblematicamente le due nazioni.
Evento di diverso tenore è stato quello organizzato nel dicembre 2024: una manifestazione alla Missione valdese dedicata a Bernardino Ochino, un predicatore riformato senese, venuto a predicare per la comunità italofona fuggita dal Ticino. In questo evento abbiamo avuto un pubblico zurighese, perché Ochino è stato uno dei tanti contributi italiani alla storia di Zurigo e ci ha fatto piacere averlo ricordato.