Il futuro nebbioso dei corsi di lingua e cultura italiana in Svizzera

L’ultima circolare ministeriale, che recide ogni legame fra gli enti gestori svizzeri e gli uffici scolastici consolari, è un concentrato di criticità. Nella «casa» un tempo condivisa fra docenti ministeriali e in loco appaiono ora nuove crepe. Il testo solleva forti preoccupazioni.

Di Guido Gozzano 31 ottobre 2025

 

Erano e continuano ad essere un punto di approdo per migliaia di alunni. Ma per quanto tempo ancora? I cosiddetti «Enti gestori», così si chiamavano dal 1993, anno di nascita, ora si dicono «Enti promotori», organizzano da più di trent’anni i corsi di lingua e cultura italiana in Svizzera, ma per legge è cambiato il loro destino. Il ministero degli Esteri, da cui sgorgano i finanziamenti, nel 2022 ha pubblicato una «circolare» che è di fatto una notifica dolente. Non proprio un divorzio, ma una separazione in casa. In cui appaiono ora nuove crepe.

Facciamo un passo indietro, agli inizi degli anni Novanta, quando si è avvertito l’urgente bisogno di sopperire alle mancanze dello Stato italiano: nell’estate del 1993, il governo decise di rimpatriare una fetta molto consistente di docenti ministeriali, mentre i figli di genitori immigrati si affacciavano sempre più numerosi ai corsi consolari di lingua e cultura italiana. Allora, per colmare i buchi, sono subentrati i nostri «Enti gestori».

Parliamo dei tanti volenterosi italiani che, riuniti in associazioni di diritto svizzero, sacrificano le serate e i fine settimana per allestire nuove classi e assistere le famiglie. Con un saldo obiettivo, il bene dei bambini, per consolidare il loro apprendimento della lingua e cultura d’origine. Un tempo erano una decina, gli enti gestori; ne rimangono cinque oggi in Svizzera, ciascuno con l’acronimo che lo contraddistingue, il Casli di Zurigo, il Cae di Ginevra, il Cipe di Neuchâtel e Friburgo, il Cpsi di Losanna e l’Ecap di Basilea *.

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