Mattmark, dopo 60 anni le scuse, assente la Svizzera ufficiale

di Toni Ricciardi 30 settembre 2025

 

«La gestione umana di questa tragedia fu disastrosa, per questa ragione desidero presentare le scuse ufficiali da parte del Cantone Vallese ai familiari delle vittime, riconoscendo il ruolo che la migrazione italiana ha avuto in questo paese».

Questi passaggi sono il cuore del discorso pronunciato dal presidente del consiglio cantonale vallesano Mathias Reynard a Mattmark, durante la commemorazione del sessantesimo anniversario della catastrofe, lo scorso 30 agosto. Ci sono voluti sessant’anni, ma alla fine qualcosa pur si è smosso nella coscienza più profonda della Svizzera.

Le celebrazioni quest’anno avevano generato grosse aspettative, che non sono state disattese. Un grande merito va in primis riconosciuto al Comitato Italia-Valais, nato da qualche decennio e presieduto da Domenico Mesiano, e al ruolo attivo che ha avuto l’Ambasciata d’Italia a Berna, oggi nella figura del suo ambasciatore Gian Lorenzo Cornado.

Inoltre, per la prima volta, a sessant’anni da quel tragico 30 agosto 1965, si è registrata la presenza di un ministro della Repubblica italiana, Luca Ciriani, e della segretaria nazionale di uno dei principali partiti italiani. La partecipazione della segretaria nazionale del Pd Elly Schlein è stata molto preziosa, non solo per le parole spese durante il suo intervento, ma per la capacità avuta di veicolare e dare visibilità a quella che ormai non possiamo più definire, come fatto oltre dieci anni fa, una Marcinelle dimenticata.

Tuttavia, durante la due giorni finale di un ricco calendario di eventi durato un anno, tra conferenze, mostre e incontri, un po’ di amaro in bocca è rimasto a molti. Se, come sottolineato in apertura, il Cantone Vallese – che già oltre dieci anni fa ha candidato l’italianità come proprio bene immateriale Unesco – ha assunto consapevolezza profonda di quanto accaduto alle pendici del ghiacciaio dell’Allalin, e se il governo e la politica italiana hanno marcato, a partire dalle parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, un chiaro segnale di considerazione per l’ultima grande tragedia dell’emigrazione italiana, l’assenza della politica svizzera è stata pesante e tangibile.

Indubbiamente, Ignazio Cassis non ha fatto mancare una presa di posizione sui social, una sorta di comunicato congiunto con il ministro degli esteri italiano Antonio Tajani, tuttavia, sarebbe stato «onorevole» che ci fosse una presenza fisica della Svizzera federale a Mattmark. Questa vicenda, senza volerla né drammatizzare né esacerbare nei toni e nei modi, ci segnala una difficoltà ancora fortemente persistente in Svizzera o, meglio, nella Confederazione ufficiale: saper fare i conti con il proprio passato e con la propria storia.

Della vicenda di Mattmark ormai conosciamo i dettagli, il contesto storico del periodo in cui accadde la tragedia e cosa fosse invece divenuta la Svizzera, sette anni dopo, nel 1972, l’anno del processo che vide assolvere tutti sia in primo che in secondo grado di giudizio, con l’aggravante della condanna dei familiari delle vittime al pagamento del cinquanta per cento delle spese processuali.

Certo, si potrebbe obiettare che ormai stiamo parlando di una vicenda «antica», lontana dal nostro vivere quotidiano e che tutto sommato oggi ha meno importanza di ieri, non fosse altro che il livello di integrazione e convivenza della comunità italiana in Svizzera – che continua ad essere la prima tra gli stranieri e che conta la percentuale più alta tra i naturalizzati – si può definire completato e raggiunto.

Nonostante questo, occorre continuare con quanto portato avanti faticosamente in questi ultimi decenni affinché vicende come quella di Mattmark, che di per sé non sono altro che un momento spartiacque della ormai plurisecolare presenza italiana in Svizzera, vengano ricordate e servano da insegnamento, venga ricordato quanta strada è necessario percorrere affinché le persone possano a pieno titolo sentirsi non solo strumenti di costruzione economica, ma cittadine e cittadini a tutto tondo.

D’altronde, le catastrofi fanno fatica ad entrare a pieno titolo nella grande storia, quella con la S maiuscola. Analizzarne i fatti, le circostanze, il contesto socioeconomico del tempo e il suo divenire ci consegnano spesso un’amara e scontata verità: l’essere umano o, se si vuole il suo ruolo antropico, il più delle volte è il vero responsabile di tragedie come Mattmark e non solo, ieri come oggi.

Nello specifico, i fatti di Blatten del maggio 2025 sono qui a testimoniarci di come la lezione vallesana del 30 agosto 1965 sia stata interiorizzata sia dal punto di vista tecnico che sociale. Non ci sono stati tentennamenti nell’evacuare il piccolo borgo (ciò che ne è rimasto) che dista poco meno di sessanta chilometri dalla Valle del Saas. Il cosiddetto «modello Mattmark» è servito almeno, in questo caso e non solo, a sviluppare crescenti misure di controllo e monitoraggio dei ghiacciai facendo acquisire ciò che mancò negli anni Sessanta, ovvero maggiore considerazione del rischio rispetto al mero profitto.

A distanza di sessant’anni, invece, ciò che ancora manca è un luogo della memoria di quanto accadde. Chi è stato almeno una volta a quota 2200 metri, alle pendici di quello che fu il ghiacciaio dell’Allalin, sa che a ricordare quel triste evento troviamo una croce in acciaio e alcune targhe che negli anni sono state apposte dalla comunità italiana in Vallese e dall’Associazione Bellunesi nel Mondo (Abm). Quest’ultima, nata nel 1966, proprio per conservare la memoria della tragedia – sulla scorta di quanto fatto dieci anni prima dall’Associazione Trentini nel Mondo, nata all’indomani di Marcinelle – oggi rappresenta il maggiore esempio di conservazione delle vicende vallesane. Una storia accaduta in Svizzera e conservata in Italia.

Per questa ragione, nei prossimi mesi e anni, lo sforzo maggiore dovrà essere rivolto verso la realizzazione, insieme alle autorità locali e non solo, coinvolgendo quanti più attori possibili, di un luogo fisico che possa ricordare Mattmark e nel quale possano essere conservate le analisi sociali, scientifiche e rappresentative di quella che ancora oggi continua ad essere la più immane tragedia industriale della Svizzera contemporanea. Un simile sforzo non deve essere fatto solo in memoria o come simbolico rimborso morale postumo nei confronti delle vittime e dei loro familiari, bensì, affinché assunto come un impegno, perché rimanga traccia di questa vicenda per le future generazioni.

L’oblio è tra le malattie più ricorrenti dell’essere umano. L’unica cura possibile è la conservazione della memoria e della storia. Tramandare il passato è un gesto imprescindibile di grande valore civile, per apprendere dal passato e cementificare una memoria collettiva, per fare in modo che Mattmark, assieme alle storie delle donne e degli uomini che si sono sacrificati, diventi storia collettiva.

 
Corriere dell’italianità


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«Dalle tragedie come Mattmark serve trarre un insegnamento imprescindibile»