Lavorare in condizioni metereologiche estreme
La bella stagione è da tempo finita e abbiamo già dimenticato le temperature fino a 35 gradi. Ma dalla canicola alla pioggia incessante, anche in Svizzera il cambiamento climatico espone sempre più chi lavora, e la protezione legale è ancora lacunosa.
Di Michael Steinke Ufficio comunicazione Syna / 24 ottobre 2025
Nella rovente estate 2025, ormai dimenticata mentre questo autunno scivola verso l’inverno, temperature fino a 35 gradi hanno messo a dura prova molti lavoratori e lavoratrici. Il caldo è opprimente per chi svolge un lavoro all’aperto, nei cantieri, in agricoltura, nella manutenzione del verde o delle strade. «Se penso che ho faticato a sopportare l’afa in ufficio, non oso pensare a chi è costretto a lavorare a cielo aperto!», dichiara Michele Aversa, co‑responsabile Syna del ramo professionale Edilizia principale: «Queste categorie professionali vanno tutelate, la salute deve sempre essere prioritaria».
Il fisico al limite
Il caldo estremo non è solo fastidioso: può mettere a repentaglio la salute. L’organismo reagisce alle alte temperature raffrescandosi tramite la sudorazione, che però comporta una forte perdita di liquidi, affaticamento, cali di concentrazione e problemi circolatori. Il rischio di infortuni aumenta sensibilmente. Secondo un’analisi della Suva nel settore edilizio, nei giorni con temperature superiori ai 30 gradi si verifica fino al 7% in più di infortuni sul lavoro rispetto alle giornate estive medie.
Nonostante ciò, in Svizzera non esiste alcun diritto legale alla sospensione del lavoro in caso di canicola. Se è vero che l’obbligo di diligenza previsto dalla legge sul lavoro impone ai datori di lavoro misure di protezione, come pause sufficienti, accesso ad acqua fresca, zone d’ombra o orari flessibili con, ad esempio, inizio anticipato del lavoro, l’attuazione è spesso lacunosa. «La pressione economica è notevole», evidenzia Michele Aversa. «Margini esigui, scadenze serrate e una legislazione poco chiara mettono in crisi le aziende».
Pressione delle scadenze e pene convenzionali
Il problema centrale è questo: attualmente le giornate di caldo torrido non sono considerate motivo legittimo per rinviare la consegna di un’opera edilizia. Ciò significa che, anche quando le temperature sono pericolose per la salute, le imprese rischiano pene convenzionali se non rispettano le scadenze. Questa pressione viene trasferita ai lavoratori.
Per questo motivo, i sindacati chiedono insieme ai partner sociali dell’edilizia una modifica della legge. A fine 2024 il Consiglio nazionale ha approvato a chiara maggioranza la mozione «Rafforzare la tutela della salute dei lavoratori edili, prorogare i termini durante le ondate di calore», che prevede in caso di caldo estremo di poter sospendere i lavori senza rischiare una pena convenzionale. L’oggetto è attualmente al vaglio del Consiglio degli Stati.
«Mi aspetto che anche il Consiglio degli Stati si schieri per il benessere di chi lavora duramente nei cantieri», afferma Michele Aversa. «Non è una questione di poter rifiutare il lavoro, ma di proteggere adeguatamente gli edili in situazioni che mettono potenzialmente a rischio la loro salute».
Esposizione solare e rischio di neoplasie
Non è solo il caldo a comportare dei rischi, anche l’esposizione ai raggi solari è spesso sottovalutata e può avere conseguenze gravi. Secondo studi condotti dall’Istituto svizzero di ricerca sperimentale sul cancro di Losanna, chi lavora nell’edilizia, nella costruzione stradale o nel giardinaggio è esposto a dosi di radiazioni solari UV da tre a cinque volte superiori rispetto a chi svolge professioni al chiuso.
Particolarmente critico è il contatto con derivati del catrame o del bitume in cantiere, che può amplificare l’effetto cancerogeno delle radiazioni solari. Stime della Suva indicano che in Svizzera circa mille persone all’anno si ammalano di cancro della pelle di origine professionale, e le cifre sono in aumento. «Servono urgentemente migliori misure di prevenzione», chiede Michele Aversa. «Occorre mettere a disposizione indumenti protettivi, organizzare controlli cutanei regolari e istruire il personale».
Ma i rischi non finiscono insieme alla bella stagione: infatti, l’autunno porta con sé pioggia, forti temporali, freddo e neve. In questi casi può intervenire l’indennità per intemperie: se le condizioni meteo rendono impossibile il lavoro, l’assicurazione contro la disoccupazione copre l’80% del salario. La procedura è però complessa: i datori di lavoro devono documentare la situazione e attendere l’autorizzazione dell’ufficio cantonale, restando tenuti a versare per intero i contributi Avs e Lainf (contro gli infortuni). Vi sono inoltre giorni di carenza, di regola due o tre, durante i quali non è versata alcuna indennità. L’onere amministrativo e finanziario scoraggia molte imprese. «Questo fa sì che spesso si continui a lavorare troppo a lungo, anche quando non è sostenibile dal punto di vista della salute», spiega Michele Aversa.
Chiarezza legale anziché margini discrezionali
Il cambiamento climatico pone al mondo del lavoro sfide nuove e concrete, soprattutto per chi opera all’aperto, che sia al caldo o al freddo, sotto la pioggia o sotto il sole cocente. Ciò che un tempo era un’eccezione sta diventando sempre più la normalità. La tutela della salute deve adeguarsi, con prescrizioni legali chiare e vincolanti, non solo volontarie.
Non si tratta di diritti particolari, ma di standard igienici basilari. Per Michele Aversa, non c’è alcun dubbio: «Chi lavora ogni giorno all’aperto non può essere rimbalzato tra lacune di legge e pressioni economiche. Ha diritto a sicurezza, rispetto e condizioni eque indipendentemente dalle condizioni meteorologiche. Questo è il momento giusto per agire – prima che gli estremi diventino la nuova normalità».