Cittadinanza italiana per stranieri, cosa c’è da sapere

Tra due settimane l’Italia andrà al voto per dimezzare da 10 a 5 anni consecutivi il requisito della residenza per richiedere il passaporto per «naturalizzazione». Informazioni e argomenti da conoscere prima di recarsi alle urne.

Di Guido Gozzano 25 maggio 2025

 

È innanzitutto una questione di buon senso, oltre che di civiltà. Oggi in Italia un cittadino straniero o una cittadina straniera può fare richiesta di cittadinanza al termine di dieci anni di residenza continuativa. Poi però, ed è questo un punto nodale, inizia per il o la richiedente un percorso a ostacoli, fra l’avvio delle pratiche e le lungaggini amministrative che durano due o tre anni e magari anche di più.

La situazione italiana, nel quadro europeo, è fra le più complesse, lente e, in fin dei conti, restrittive. Il referendum abrogativo dell’8 e 9 giugno annulla il periodo di dieci anni e introduce il termine di cinque anni, così come prevedeva la stessa legge italiana dal 1912 fino al 1992 (in vigore per 80 anni!) e come richiedono ora gran parte degli Stati dell’Ue.

Attenzione: il referendum non modifica tutti gli altri requisiti, fra cui la conoscenza della lingua italiana (livello B1), l’assenza di condanne penali, un reddito adeguato, e il costo per avviare la pratica con un massimo di 600 euro per ogni richiedente. E soprattutto non dimezza le lungaggini amministrative, quelle permangono, eccome, per cui alla persona che farà richiesta dopo cinque anni di residenza sarà di fatto concessa la cittadinanza nel migliore dei casi dopo sette, otto anni, nel peggiore fino a nove, addirittura dieci. Un periodo che rimarrà comunque lungo.

Secondo i dati Istat, sono circa 2,5 milioni le persone che otterrebbero, se passa il referendum, il diritto a naturalizzarsi. Tra cui circa 400mila minorenni. Infatti, una volta ottenuta la cittadinanza, indica il testo, questa sarebbe automaticamente trasmessa ai figli e alle figlie che non hanno ancora raggiunto la maggiore età. C’è comunque da sapere che fra gli stranieri che hanno maturato i cinque anni di residenza legale, almeno 700mila non potranno fare richiesta di cittadinanza perché non dispongono di un reddito adeguato.

E c’è ora forse anche da precisare che la cittadinanza per naturalizzazione, perché di questo si tratta, a differenza delle altre modalità di acquisizione, in Italia non è un diritto ma una concessione dello Stato. Tecnicamente è concessa con decreto del presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del ministro dell’Interno.

Il referendum riguarda, occorre sempre ribadirlo, i cittadini maggiorenni stranieri extracomunitari con permesso di soggiorno di lunga durata. Non concerne cioè: i casi in cui una persona sia nata sul territorio dello Stato, né i casi in cui la cittadinanza è richiesta per matrimonio, e non riguarda beninteso i cittadini dell’Unione europea, per i quali il periodo legale di residenza rimane invariato a quattro anni.

Ecco come funziona in Italia per «gli altri casi»: chi nasce da genitori stranieri sul territorio italiano ha oggi il diritto di chiedere la cittadinanza al compimento dei 18 anni, dimostrando di aver vissuto nel paese senza interruzioni dalla nascita alla maggiore età. La cittadinanza per matrimonio viene concessa a chi sposa un cittadino o cittadina, dopo una residenza di due anni dall’unione.

Prima di entrare nell’ambito dell’Ue, dove l’accesso alla cittadinanza si è via via uniformato fra diversi Paesi che hanno scelto sovranamente di modificare la propria regolazione nazionale, c’è da dire che nel 1992, alla vigilia della costituzione dell’Ue del 1993, si è capito con lungimiranza che la cittadinanza è una leva per la «solidarietà nazionale». Il fatto di concederla è un modo per togliere migliaia di persone che lavorano sodo e pagano le tasse dalla condizione di cittadini di seconda categoria. La cittadinanza unisce, ti identifica con la comunità nazionale e ti coinvolge nel destino del Paese.

Detto questo, ecco alcuni esempi europei. Iniziamo dalla Germania, dove una recente riforma ha abbassato a cinque anni il periodo di residenza per le persone extracomunitarie. Allineandosi ai Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo, Irlanda e Svezia. In Austria e in Finlandia sono invece richiesti sei anni. Il requisito di dieci anni continua a vigere in Spagna, ma con significative eccezioni, mentre nove anni sono richiesti in Danimarca e sette in Grecia. In tutti questi Paesi si applicano condizioni favorevoli per i minori nati sul territorio. Fuori dall’Ue, la regola dei cinque anni vale anche nel Regno Unito.

 
Corriere dell’italianità


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