Cinque SÌ per un’Italia più giusta

Il Partito Democratico in Svizzera sostiene il Comitato Svizzero per il Sì, nato dalla collaborazione con AVS Verdi e Sinistra, le Acli Svizzera, Cgil, la Federazione delle Colonie Libere, Unia, Syna e il mondo associativo e sindacale vicino ai temi della cittadinanza e dei diritti del lavoro. Dai referendum al diritto di cittadinanza, il cambiamento può partire anche da fuori.

Di Dario Natale segretario del Partito Democratico in Svizzera 1 maggio 2025

 

L’8 e il 9 giugno, gli italiani saranno chiamati ad esprimersi su 5 quesiti in materia di disciplina del lavoro e cittadinanza, che pongono al centro il lavoro, la giustizia sociale e la dignità delle persone. Come Partito Democratico in Svizzera, sosteniamo con forza questa campagna e il lavoro del Comitato Svizzero per il Sì, nato dalla collaborazione con AVS Verdi e Sinistra, le Acli Svizzera, Cgil, la Federazione delle Colonie Libere, Unia, Syna e il mondo associativo e sindacale vicino ai temi della cittadinanza e dei diritti del lavoro.

La genesi del Comitato è stata un processo di costruzione politica dal basso: un’alleanza nata dal confronto tra realtà diverse, ma unite da un obiettivo comune—ridare voce a chi lavora, contrastare le disuguaglianze, difendere la Costituzione. Il Comitato, tramite l’enorme lavoro della sua referente, Marianna Sica, ha portato avanti il dialogo con tutte le realtà coinvolte, contribuendo a consolidare un accordo nazionale con le principali organizzazioni della società civile, del patronato e del sindacato, per unire le forze in vista di questa campagna referendaria. Diverse tradizioni, cattolici e progressisti, patronati ed associazioni si sono uniti in questo percorso di mobilitazione al voto.

In Svizzera, l’adesione è stata ampia: il Comitato ha già dato vita a decine di iniziative su tutto il territorio, dai piccoli centri alle grandi città come Ginevra e Zurigo, coinvolgendo attivisti, lavoratori, studenti e comunità locali. Oltre ai quesiti ufficiali, questa mobilitazione riporta in primo piano anche una battaglia che ci accompagna da troppo tempo: quella per una cittadinanza più giusta e inclusiva. Un quinto SÌ che risuona forte nei volti e nelle storie di chi è nato e cresciuto in Italia senza essere riconosciuto come cittadino.

La cittadinanza italiana continua a essere regolata da una legge del 1992, rafforzata in senso restrittivo dalla Bossi-Fini del 2002. Si fonda sul principio dello ius sanguinis e non riconosce pienamente chi è cresciuto nel nostro Paese, ha studiato, lavorato, costruito la propria vita in Italia. Chi nasce in Italia da genitori stranieri può chiedere la cittadinanza solo al compimento dei 18 anni, dimostrando residenza legale e continuativa fin dalla nascita, e deve farlo entro un solo anno. Un ritardo, un vuoto nei documenti, una difficoltà familiare, possono annullare tutto.

È una norma pensata per escludere, non per includere. Anche chi arriva da piccolo deve attendere almeno 10 anni di residenza legale, dimostrare reddito sufficiente, assenza di condanne penali, conoscenza linguistica, e integrazione sociale. Non si tratta, quindi, di “regalare” la cittadinanza: si tratta di rimuovere discriminazioni strutturali e riconoscere realtà già pienamente italiane nella pratica.

La riforma della cittadinanza è stata rinviata troppe volte. Anche le forze progressiste, per anni, hanno evitato lo scontro, temendo il costo elettorale. Ma oggi, di fronte a un governo che restringe spazi di libertà e smonta diritti conquistati con decenni di lotte, non è più tempo di rinunce. È il momento di rilanciare una battaglia democratica, e di farlo insieme. Come italiani all’estero, conosciamo bene cosa significa vivere il legame con il Paese da una posizione laterale, ma sappiamo anche che il nostro voto pesa, e può essere decisivo: nei referendum passati ha inciso sui quorum, ha orientato l’esito.

Per questo diciamo cinque volte SÌ. Quattro volte nelle urne. E una volta in più, per chi ancora oggi vive e lavora in Italia senza essere riconosciuto.

Cinque SÌ, ricordando il 25 aprile

Mentre ci avviciniamo al voto dell’8 e 9 giugno, una ricorrenza ci ricorda con forza dove affondano le radici della nostra democrazia: il 25 aprile, l’ottantesimo dalla Liberazione dal nazifascismo. Non è una data qualsiasi. È il giorno in cui l’Italia ha scelto di voltare pagina, costruendo una Repubblica fondata sul lavoro, sull’uguaglianza, sulla partecipazione. Quelle pagine non sono solo da celebrare: sono da difendere ogni giorno, anche con il voto.

La Resistenza non è stata solo un atto militare, ma una presa di posizione collettiva contro la negazione dei diritti e della dignità. Oggi, quando i diritti sociali vengono erosi, quando la cittadinanza è concessa con il contagocce, quando la rappresentanza viene svuotata, tocca a noi scegliere da che parte stare. Anche questo è antifascismo: rifiutare l’indifferenza, rispondere con partecipazione. Il futuro di un Paese si misura anche dalla sua capacità di riconoscere chi lo abita. Dalla sua disponibilità a includere, a dare voce, a costruire cittadinanza. Non basta più “essere nati in Italia”. Serve una nuova idea di appartenenza, che tenga insieme diritti, partecipazione e dignità. Dall’estero, da chi ha scelto o dovuto lasciare il Paese, può partire una spinta nuova, lucida e forte.

Votiamo SÌ. Per il lavoro. Per la dignità. Per la cittadinanza. Per la giustizia. Per la democrazia.

Perché anche questo è essere italiani: non solo nel passaporto o nei documenti, ma nella volontà di contribuire alle battaglie civili e democratiche del Paese a cui sentiamo ancora di appartenere. Partecipare, votare, difendere i diritti: è così che si esercita, giorno dopo giorno, un’italianità consapevole e responsabile.

Da fuori, ma non da lontano.

 
Corriere dell’italianità


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