Italodiscendenza, l’interesse superficiale, a senso unico, dei giornali in patria

Le pagine di Maria Chiara Prodi nell’Espresso e i blog di giuristi e avvocati rimangono ad oggi gli unici spazi di riflessione in cui le assurde criticità della legge Tajani sono state indagate, guardando al destino delle comunità italiane nel mondo. Un tema evidentemente poco spendibile sul mercato dell’informazione nazionale.

Di Fabio Lo Verso direttore 25 agosto 2025

 

Nell’Italia di oggi, dove l’informazione è sempre più autoreferenziale e circoscritta ai confini del Paese, come poteva andare? Stampa, radio e televisioni hanno mostrato un interesse superficiale per il destino delle comunità italiane nel mondo, colpite dalla legge Tajani sulla cittadinanza per discendenza. In particolare la stampa.

I grandi quotidiani, Sole 24 Ore, Repubblica, Corriere della Sera e Avvenire, hanno sì dato la notizia, e presentato il testo anche con buona dovizia giuridica, ma con pochi cenni analitici, cronache anodine e una prevalenza di resoconti orizzontali, in superficie. Nel panorama dell’informazione nazionale è stato soprattutto dato risalto alle dichiarazioni del ministro degli Esteri e leader di Forza Italia Antonio Tajani, padrino politico del testo scagliato come un anatema contro milioni di concittadini nati all’estero e in possesso di doppia cittadinanza.

«È un provvedimento voluto per restituire dignità e significato a un diritto che deve fondarsi su un legame autentico con l’Italia, non solo burocratico, ma culturale, civico e identitario», dichiara il ministro dopo il voto favorevole al Senato. E aggiunge: «Questa riforma non esclude, ma responsabilizza» (Repubblica, 15 maggio 2025). Le parole di Tajani appaiono comunque fuori luogo al quotidiano Avvenire (3 giugno 2025): «Di fatto, milioni di persone, in tutto il mondo, da un giorno all’altro, sono private della cittadinanza italiana», osserva un’editorialista. Insomma, la legge esclude, eccome.

Al giornale cattolico, sempre attento alle ingiustizie, c’è voluto qualche giorno per rendersi conto delle criticità della legge votata il 20 maggio in via definitiva alla Camera. Ma è l’unico grande quotidiano ad aver mostrato una certa considerazione per gli italiani nel mondo, vittime di «una drastica riduzione dei diritti». Nel resto dell’informazione nazionale, l’interesse si concentra invece quasi esclusivamente sui discendenti degli immigrati che richiedono il passaporto italiano, «ma non parlano italiano e non hanno legamicon l’Italia».

I media ne hanno messo in scena la caricatura accentuando i casi di frode (Tajani ostenta l’esempio di cinque Hezbollah che si erano comprati la cittadinanza con finti certificati di nascita di nonni e bisnonni) e le migliaia di pratiche di cittadini sudamericani, brasiliani in primo luogo, che non hanno mai messo piede nel Paese di origine dei loro antenati, emigrati anche 150 anni fa.

«Un vero e proprio business da milioni di euro», denuncia un’inchiesta di Presa diretta, trasmissione diffusa il 9 marzo in prima serata su Rai 3, tre settimane prima del decreto-legge del 28 marzo, poi convertito in legge. Una strana coincidenza. «Fino a ieri, specie in America Latina, si reclamizzavano perfino sconti nel Black Friday per avere la cittadinanza italiana», denuncia il Corriere della Sera (28 marzo 2025). L’affare milionario ruota attorno al riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis. Ed ecco la questione rovesciata.

«Era lo ius sanguinis ad essere irragionevole?», si chiede allora lo stesso editorialista di Avvenire. «La cittadinanza va meritata» (Corriere della Sera, 28 marzo 2025), non acquistata con l’inganno, regalata a chi non ha mai vissuto in Italia. è il tam-tam governativo che la stampa nazionale amplifica sposando le tesi di Tajani e della coalizione al governo, ossessionata dalle richieste di riconoscimento della cittadinanza nei Paesi sudamericani. Lo spauracchio da agitare è il dato dei 30 a 60 milioni di italodiscendenti che avrebbero diritto alla cittadinanza italiana, «senza aver mai vissuto in Italia». Fra questi spicca un certo Javier Milei. Al presidente argentino però il governo ha nel dicembre 2024 concesso il passaporto con una procedura accelerata. Nel silenzio assenso della stampa.

Oggi, oltre tre mesi dopo il «giorno della vergogna», come è stato definito quel cupo 20 maggio, data del voto finale alla Camera, se cerchi un articolo di giornale che faccia luce sugli effetti perversi del testo per gli italiani nel mondo, non lo trovi. Con una notevole eccezione: la lucida, acuta e profonda analisi pubblicata lo scorso 19 maggio dall’Espresso, a firma di Maria Chiara Prodi, segretaria generale del Cgie. ll settimanale è stato molto abile nel fare appello all’alta rappresentante degli italiani nel mondo. Prodi ha espresso «l’onda emotiva che ha accolto il provvedimento fuori dall’Italia» e illustrato con arguzia l’autentico vulnus della legge: l’attacco punitivo, vessatorio, alla doppia cittadinanza.

Riepiloghiamo: sei italiano, italiana, di genitori e nonni italiani ma vivi e lavori all’estero, e hai acquisito la cittadinanza del Paese in cui paghi le tasse? Ebbene il tuo «essere italiano» non è più trasmissibile senza limitazioni ai tuoi discendenti. Si spegnerà nel tempo, nell’arco di due generazioni, quando diventerai nonno, o nonna. E questo accadrà proprio perché hai acquistato un’altra cittadinanza, anche se sei nato e hai vissuto in Italia fino alla maggiore età. Scrive allora Prodi: «è come se la cittadinanza italiana diventasse un ’gene recessivo’, che viene smarrito se i genitori non hanno la cittadinanza italiana esclusiva».

La metafora del «gene recessivo», brillantemente scovata dalla segretaria generale del Cgie, schiude uno scenario esiziale per l’italianità nel mondo. Un esagerazione? Alcuni giuristi e avvocati italiani si sono tremendamente spinti oltre i confini dell’immaginazione. Nei blog professionali e nei siti web specializzati, come judicium.it, affermano che il provvedimento crea un fenomeno di «denaturalizzazione di massa». Nel tempo, avvertono, ed è il dato più grave, si realizzerà un’«estinzione collettiva» della cittadinanza fuori dal Paese. Quasi una cancellazione programmatica della presenza italiana nel mondo.

Ora la prospettiva catastrofista di giuristi e avvocati non è stata nemmeno lontanamente menzionata nei media nazionali. Di questo scenario dalle tinte fosche se n’è fatto brevemente interprete il Corriere dell’italianità nell’edizione estiva di luglio e agosto (leggi qui). A pensarci bene, la premonizione di un’estinzione collettiva della cittadinanza italiana nel mondo non è priva di fondamento.

Se spezzi il filo dell’italodiscendenza, prima o poi infatti la trasmissione si esaurirà. A meno che i giovani italiani all’estero cancellino dalla loro mente l’idea della doppia cittadinanza (costringendosi a vivere da cittadini di serie B nel Paese in cui pagano le tasse) e programmino il rientro in Italia per far nascere i figli, con buona pace per i parti in emergenza e i neonati prematuri.

Le pagine di Maria Chiara Prodi nell’Espresso e i blog di giuristi e avvocati rimangono ad oggi gli unici spazi di riflessione in cui le assurde criticità della legge sono state indagate, guardando al destino delle comunità italiane nel mondo. Un tema evidentemente poco spendibile sul mercato dell’informazione nazionale.

 
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