Italiani all’estero, cittadini di seconda classe?
Il presidente della Repubblica ha condiviso la necessità di «riconsiderare» alcune criticità del testo sulla cittadinanza per discendenza, che trasforma i connazionali nel mondo in cittadini di serie B. Si allarga il fronte della protesta: in prima linea il Cgie ha proposto sei rimedi per correggere un provvedimento «vissuto come una ferita profonda».
Di Guido Gozzano 30 giugno 2025
Il capo dello Stato Sergio Mattarella riceve al Quirinale i rappresentanti del Consiglio generale degli italiani all’estero (Cgie). Foto © Presidenza della Repubblica / 17 giugno 2025
Nello «spaesamento» degli italiani nel mondo, il suo intervento era atteso, le sue parole hanno acceso la speranza. Il capo dello Stato Sergio Mattarella si è espresso in linea con il Consiglio generale degli italiani all’estero (Cgie), ora anche secondo lui vanno «valutate le riconsiderazioni» su alcuni punti della recente, controversa legge che recide il filo dell’italodiscendenza e fa degli italiani all’estero dei cittadini di serie B.
Ricevendo al Quirinale, lo scorso 17 giugno, i consiglieri del Cgie, il presidente è stato cauto, misurato nello stile sobrio e pacatamente risoluto che lo ha reso da dieci anni il politico più amato dagli italiani. Al termine del suo intervento ha condiviso la necessità di «favorire una meditata considerazione dei temi che si sono aperti». In prima linea i consiglieri del Cgie annuivano sorridenti, alcuni sembravano quasi sorpresi dall’apertura del Colle alle loro rivendicazioni.
A questo punto, è necessario riavvolgere il nastro e risalire alla fonte proprio di quei «temi che si sono aperti», come ha sottolineato il capo dello Stato, temi scottanti, scaturiti a seguito di quel decreto governativo 36/25, poi convertito nella legge 74/25, che è calato come una scure, brutalmente, spaccando l’anima degli italiani all’estero. Perché di questo si tratta, il testo inchioda a un subdolo, quasi shakespeariano dilemma: rinunciare ad acquistare la doppia cittadinanza, oppure rinunciare a trasmettere quella italiana.
Nel primo caso ti privi della facoltà di votare e contribuire alla creazione delle leggi alle quali vieni sottoposto, ti costringi cioè a vivere un’esistenza di serie B o seconda classe, nel Paese in cui lavori e paghi le tasse. Il secondo descrive invece una vera e propria lacerazione interna. Considera una mamma italiana nata all’estero, con doppia cittadinanza, e genitori italiani, anch’essi con doppia cittadinanza, appagati nella loro italianità, individui laboriosi, attivi, impegnati, creando ponti e legami fra due culture: questa mamma, questo nucleo familiare, secondo la nuova legge dai connotati nazionalsovranisti, non potrà trasmettere la cittadinanza italiana ai loro discendenti.
In un senso o nell’altro si provoca una spaccatura dell’anima. Profonda, intima, esistenziale. Alla quale il Cgie propone di porre rimedio in sei punti (leggi qui). Basterebbero già i primi due per riportare indietro le lancette nel tempo che ha preceduto la redazione del decreto 36/25: in entrambi si richiede che venga eliminato ogni limite alla trasmissione della cittadinanza italiana, «correggendo l’errore sulla doppia cittadinanza», aggiunge il deputato Pd Toni Ricciardi, eletto nella circoscrizione Europa, che assume anche un ruolo come consigliere del Cgie. L’esponente dem si è battuto con vigore, ma invano, durante l’iter parlamentare per abolire la norma sulla retroattività dello ius sanguinis, per lui «palesemente anticostituzionale» (leggi qui).
Il Cgie è ora con fermezza in prima linea, sulla scia delle proteste che si sono intensificate nelle ultime settimane in tutto il mondo e pure in patria. Dal «giorno della vergogna», come lo stesso Toni Ricciardi ha definito la data del 20 maggio, voto finale alla Camera a favore della legge, centinaia di voci si sono levate per «riconsiderare gli errori e le incongruenze di una legge sbagliata», per dirla con le parole di Fabio Porta, deputato Pd eletto in America del Sud.
La protesta è giunta anche ai piedi del Ministro degli Esteri Antonio Tajani: alcuni consiglieri Cgie hanno disertato il suo discorso alla plenaria del Consiglio, in aperto dissenso con l’approvazione del decreto. Il ministro non si è privato di far notare che il capo dello Stato ha controfirmato il decreto e poi promulgato la legge approvata dal Parlamento «con l’obiettivo di combattere le irregolarità e gli episodi di compravendita della cittadinanza in alcuni Paesi del Sud America».
È con questa motivazione infatti che il decreto è stato introdotto con urgenza, per risolvere un’improvvisa quanto discutibile questione di sicurezza nazionale. «Io sono convinto che bisogna riformare la legge sulla cittadinanza perché c’erano troppi imbrogli, c’erano delle cose vergognose», ha dichiarato Tajani. «Vendere la cittadinanza italiana è una cosa che per me è moralmente inaccettabile, e questo è accaduto. Cito sempre l’esempio di cinque Hezbollah ai quali abbiamo tolto la nazionalità italiana perché se l’erano comprata con finti certificati di nascita degli antenati. Abbiamo messo delle regole più severe», ha aggiunto il titolare della Farnesina. Dopo lo sfogo, Tajani si è comunque detto pronto a rivedere alcune cose: «Io sono sempre per migliorare. Non sono mai uno che dice no».
L’argomentazione del ministro degli Esteri «è stata accolta con scetticismo e mormorii dalla platea del Cgie», nota il consigliere Carmelo Vaccaro, residente a Ginevra, autore di un articolo in cui restituisce la reazione di Toni Ricciardi: «Provo grande imbarazzo per quanto dichiarato da Tajani. I soliti balbettii di chi non sa di cosa parla o finge di non sapere. È emerso che la responsabilità sarebbe degli eletti all’estero, o addirittura del presidente Mattarella. Tajani non si assume la responsabilità delle sue scelte e cerca capri espiatori.»
Insomma, stando a Tajani, per fronteggiare il «mercimonio» della cittadinanza commesso da persone straniere, il governo ha concepito in urgenza un decreto-legge che punisce però tutti i connazionali nel mondo, privandoli del diritto di trasmettere la cittadinanza e castigandoli per aver acquistato la doppia cittadinanza. «Se la necessità di una riforma era sentita», dichiara Maria Chiara Prodi, segretaria generale del Cgie, nel suo discorso al Quirinale rivolgendosi al presidente Mattarella, «lo spaesamento che oggi attraversano le comunità è grande».
Punta di diamante della contestazione nelle vesti di massima rappresentante degli italiani nel mondo, Maria Chiara Prodi si è fatta interprete del dolente sentire comune, del doloroso strappo che testimoniano i connazionali. Il decreto «è stato vissuto come una ferita profonda da italiani all’estero e italodiscendenti, come uno scollamento, una frattura», afferma. «Poche cose toccano nel profondo come il senso di appartenenza. In fondo milioni di persone si stanno chiedendo: dall’Italia, io e i miei figli, siamo accolti o rifiutati?».
La segretaria generale del Cgie conclude con amarezza: «Le modalità radicali e repentine della nuova legge sulla cittadinanza hanno interrotto il percorso condiviso di riflessione che stavamo portando avanti, sintetizzato nell’espressione “cittadinanza consapevole”. Come dire che adesso è tutto da rifare.