Il «consenso» nella Nato, una prassi fra luci e ombre
Si è parlato tanto dell’Allenza atlantica, e si continua a farlo sommergendo l’opinione con tesi e interpretazioni controverse, insufficientemente passate al vaglio delle indagini giornalistiche. Così la forbice fra realtà e propaganda si è allargata negli ultimi anni come mai dal dopoguerra. Il Corriere dell’italianità si impegna a esplorare il funzionamento dell’organizzazione forse oggi più detestata al mondo, entrando in contatto con le fonti interne, con chi ha lavorato e lavora tuttora alla Nato, mettendole a confronto con le voci critiche.
Inchiesta di Valeria Camia Bruxelles 25 agosto 2025
La sede della Nato a Bruxelles. l’edificio, costato circa un miliardi di euro, ha sostituito nel 2018 il vecchio quartier generale.
Nel panorama complesso del suo funzionamento, la Nato ha costruito attorno alla regola del consenso non solo una prassi, ma l’intera sua filosofia operativa e diplomatica. In un’epoca di crescenti tensioni geopolitiche, dalla guerra in Ucraina alle ripetute crisi in Medio Oriente, questo meccanismo garantisce, dice l’organizzazione, che ogni azione dell’Alleanza sia «supportata» da tutti i membri, conferendo legittimità e forza alle sue posizioni. è davvero così, o è la chiave per condurre guerre a tutto spiano, dando insomma via libera alla frenesia bellicista?
Ora il Trattato Nord Atlantico non menziona esplicitamente il metodo con cui devono essere prese le decisioni, con un’unica eccezione relativa all’adesione di nuovi membri. Eppure, fin dalla fondazione della Nato, nel 1949, il principio del consenso si è imposto come norma istituzionale inviolabile. Se non ha una base giuridica codificata, ha acquisito una forza quasi «costituzionale» nella cultura organizzativa dell’Alleanza.
L’approccio consensuale riduce al minimo i margini di azione autonoma degli organismi centrali, fra i quali il segretario generale, oggi l’olandese Mark Rutte, in quanto ogni decisione richiede l’approvazione di tutti: «Non necessariamente l’entusiasmo di tutti, ma almeno l’accettazione, esplicita o implicita, da parte di ogni Stato membro», spiega un ex alto funzionario della Nato, raggiunto telefonicamente e che chiede l’anonimato.
Non si vota, insomma. Nel cuore di questo processo decisionale, la peculiarità è che le decisioni vengono approvate se nessun membro solleva obiezioni formali. «Un documento — continua l’ex funzionario — viene distribuito con una scadenza temporale, spesso da 24 a 48 ore. Se nessun Paese rompe il silenzio, la proposta è adottata». La vera partita si gioca nella fase informale di consultazione, prima che una proposta sia formalmente discussa. «Le missioni permanenti a Bruxelles e gli Stati membri si scambiano osservazioni, suggerimenti e modifiche per sondare la disponibilità al consenso», precisa un membro dello staff della sede Nato nella capitale belga.
È un processo spesso invisibile ma cruciale, fatto di incontri informali e telefonate diplomatiche, testi che circolano in molteplici versioni, conversazioni riservate e incontri bilaterali, formule di compromesso. «È una danza delicata, in cui perfino le proposte presentate dal presidente in sessione plenaria vengono in genere testate in anticipo per evitare imprevisti; il linguaggio dei comunicati ufficiali, dei piani operativi o dei bilanci della difesa può essere rivisto decine di volte, talvolta circolano 30 o 40 versioni», sottolineano le nostre fonti all’interno della Nato. Non esistendo, insomma, voti ponderati, anche una singola frase come «per noi sarebbe difficile accettare» comporta la modifica di una bozza di decisione o il blocco della sua approvazione: dunque si media, si ritarda, «si negozia finché serve».